RACCONTO VISIVO DEL NOVECENTO

RACCONTO VISIVO DEL NOVECENTO RACCONTO VISIVO DEL NOVECENTO Fossati da Corrà a Paolini MILANO futurista, la metropoli moderna del e per il pittore moderno. La Milano diurna e notturna di Boccioni: «La piazza, il moto dei tram, chi va e viene, chi si trova e chi si smarrisce, gli avvenimenti collettivi (comizi, scontri e agitazioni, cortei) e le ragioni private, l'andare, il muoversi, guardare, vedere i tram e i cortei, la gente, l'agitazione e l'anonimato... I caffè, i locali notturni, gente, persone, il nottambulo, la puttana, i mangiatori, il bevitore, l'ubriaco come immagini tipiche della notte metropolitana (colori artificiali, luci anche queste artificiali, specchi, risi, rumori, risse, vestiti, cappelli, urti, movimenti)». La Milano diurna e notturna di Carrà: «Lavora sulla veduta urbana; dipinge la piazza del Duomo e l'esterno della stazione, le risse (prostitute, guardie, anarchici) e i moti di piazza (scioperanti, guardie regie), passanti e tram, anarchici e soldati. Temi genericamente modernisti e un colore naturalistico, luci e intensità atmosferiche, qualche traccia simbolista, attenzioni divisioniste... Il ronzio del ristorante, l'acciottolìo delle stoviglie, le voci, i suoni, l'esplosione del riso, il movimento degli avventori, i colori violenti dei vestiti, l'agitarsi delle mani che sono protagonisti sminuzzati ed effusi in Boccioni, nel lavoro di Carrà diventano silenzio, colori raccolti, luci diffuse, condensazioni e spessori, pochi oggetti a distanza pausata, immoti». Nel racconto visivo di Paolo Fossati il Gentiluomo ubriaco di Carrà è uscito dal caffè futurista di Boccioni e si è fatto testa anonima candida, frammento di gesso nella sospensione «metafisica» dello studio del pittore già postfuturista. E' uno dei tanti percorsi, episodi, paragrafi di Storie di figure e di immagini edito da Einaudi (pp. 350, L. 55.000), ultimo e più maturo riepilogo da parte di uno storico e critico dell'arte contemporanea orgogliosamente atipico di nodi è snodi, fatti, autori e attori dell'Italia futurista, metafisica, novecentesca di arti e lettere (ma c'è anche, e ampiamente, la correlata Parigi, da Apollinare a Breton, da Cocteau a Leonce Rosenberg). L'atipicità è evidente nelle prò posizioni a premessa: «L'accenno alle immagini dei quadri, raddoppiato da quello delle figure, intra duce all'ipotesi che corre per tutte le pagine che seguono: cioè che, insistendo sulle figure fino a renderle sintomatiche, i pittori moderni in Italia abbiano imboccato la via dell'allegoria. Caduta l'opportunità dell'oggettività, cioè della rappre sentazione in pittura, non restava che la via del pittore che racconta il proprio lavoro di pittore». Il riferi mento è a Boccioni e Carrà e Severini, De Chirico e Savinio, De Pisis e Morandi, Licini e Carolrama, ma nell'ultima frase, che è nello stesso tempo approdo e radice concettuale, c'è anche la stretta attualità di Paolini. E ancora: «Magari in una miscela complicata come quella del continuo trapassare da letteratura a pittura e viceversa evadendo in uno spazio ulteriore, le Fughe in prigio ne di cui racconta uno scrittore del tempo» (Malaparte, un modello di atipicità). E' un discorso sul metodo che Fossati aveva già affrontato nel settimo volume della Storia dell'Arie Italiana, Einaudi, e nei saggi su «Valori Plastici» e sulla pittura metafisica: la caratterizzazio ne della modernità artistica italia na nei primi quattro decenni del se colo come alleanza e alternanza fra scrittura visiva e letteratura per immagini. Nell'esempio che ho riportato, il percorso non si ferma al cammino dal caffè futurista allo studio metafisico: il titolo scelto da Carrà, e in sede metafisica la titolazione è elemento fondamentale della sostanza stessa dell'opera, evoca in Fossati la memoria del Bateau ivre di Rimbaud; e questa evocazione porta a sua volta all'annotazione sulla conoscenza certa da parte di Carrà àeìì'Artur Rimbaud pubblicato nel 1911 sui Quaderni della Voce da Soffici, scrittore e pittore mèntore personale del pittore e scrittore Carrà, soprattutto dopo la crisi del 1914 fra «futuristi vociani» e «marinettisti». Quanto al metodo, la connotazione delle immagini-figure come pittura-scrittura o viceversa (ovvero e dunque l'allegoria), già affrontate e documentate in sede storica, diviene qui intrinseca alla modalità stessa del libro, racconto (analisi di forme e di significati, di materiali culturali e di contenuti emotivi, di avventure dello spirito e di folgorazioni dell'intelletto; ma innanzitutto racconto, romanzo e novella) di una mostra nazionale 1910-1940 - ma ci sono anche Henri Rousseau e Picasso e Matisse tutt'altro che immaginaria. Non è immaginaria perché la concretezza della scrittura, del testo narrante, aderisce sempre alla peculiarità globale dell'oggetto pittorico narrato, per cui le due Milano futuriste di Boccioni e di Carrà, intercambiabili nella sfera astratta del programma ideologico e del materiale grezzo d'immagine, si concretizzano nella loro presenza reale, materiale e nella pagina di Fossati in «figure» nettamente distinte. Questa concretezza si dipana poi in concatenazioni alternate di pittura e letteratura per cui evocherei il fascino divagante dei testi di Savinio. Compilo qui di seguito un catalogo del capitolo 11, «Tema con variazioni, pesci»: I pesci rossi, esposto da Matisse alla mostra della Secessione Romana del 1913; la descrizione della fotografia della parete su cui era esposto il quadro (con un refuso: Mangum al posto di Manguin, il fedele scudiero); la relativa critica di Emilio Cecchi e il suo articolo e volume Pesci rossi del 1920 e piccole ma significative storie domestiche di pesci fra Cecchi e la moglie pittrice Leonetta Pieraccini; il pesce, teglia per dolci, nei due quadri dedicati da De Chirico nel 1914 al ritratto simbolico di Apollinaire, e il coevo Poeta assassinato di Apollinaire - commentato da Soffici - e gli articoli di Apollinaire su De Chirico sempre del 1914, con il parallelo con il Doganiere Rousseau, e dunque di Rousseau La musa che ispira il poeta, con Apollinaire e Marie Laurencin, e dunque della Laurencin Apollinaire e i suoi amici; il pesce di ferro, sottratto da un museo (narra De Chirico) nel suo Sogno di Tobia dipinto a Ferrara, ma a Ferrara Tobia compare anche in una prosa di Govoni ed è riferito a se stesso in scritti autobiografici di Carrà; sempre di De Chirico i Pesci sacri, aringhe, commentati da Breton; lo stesso pesce di ferro di De Chirico che trapassa nella versione originaria dell'Orate delle apparizioni di Carrà, al quale si sovrapporrà anni più tardi un pesce «naturale» (la filologia dell'arte contemporanea è nascosta, ma ben presente); il pesce di Carrà che compare in una prosa di De Pisis evocante una spiaggia dell'estate del 1920, e qualche anno dopo De Pisis che racconta e dipinge una carpa comperata al mercato di Montmartre e il quadro passa a Palazzeschi che ne racconta a sua volta, ricordando i comuni amori con Marino Moretti. «Madeleines» dipinte, non solo scritte. Marco Rosei

Luoghi citati: Ferrara, Italia, Milano, Parigi