MEMORIE DAL CONVENTO DI UNA PICCOLA EBREA

MEMORIE DAL CONVENTO DI UNA PICCOLA EBREA MEMORIE DAL CONVENTO DI UNA PICCOLA EBREA DOLORES Prato scriveva che la sua lunga infanzia si era conclusa con un atto di violenza. Con l'urlo di una belva pugnalata aveva strappato il pettine alla zia che le lisciava i capelli, prima di accompagnarla in collegio, e lo aveva spezzato. Poi il gigantesco portone dell'educandato salesiano di Treja si era chiuso alle sue spalle, e Dolores vi era rimasta sepolta dal 1902 al 1910. Quegli amii di limbo, tra mura in cui niente mai accadeva se non il ripetersi quotidiano degli stessi riti, le preghiere i pasti le abluzioni, diventano il pretesto per un esercizio singolare: una cronaca spietata, ricca di sottigliezze stilistiche pregiate. Strano libro questo Le ore, che esce adesso da Adelphi (pp. 356, L. 25.000), a 12 anni dalla morte di Dolores Prato in un ospedale di Anzio. Strano almeno quanto la vita di lei. Qualcuno lo ricorderà: nel 1980 aveva avuto l'avventura di esordire da Einaudi con Giù la piazza non c'è nessuno, a 87 anni. Per alcune settimane la stampa si interessò all'opera di questa vecchia misteriosa: «Fu una fiammata, alimentata da curiosità e indiscrezioni». Che poi si spense. Si disse che Dolores Prato era inawicinabile; che viveva solissima e senza amici; che aveva adottato un figlio, prima prete e poi spretato; che era stata la compagna di un comunista». Quanto ai suoi maestri: «Nessuno. Gli ignoranti non hanno maestri». Lei disse semplicemente che Giù la piazza non c'è nessuno, in cui raccontava la sua infanzia nel paesino di Treja, era un inizio. «In realtà è la prima parte di un grande lavoro che si concluderà alla mia morte: dopodiché dalle mie tante carte che qualcuno frugherà risorgerò ma neppure allora conclusa». Ed ecco la profezia avverarsi. Dopo aver raccontato in prima persona la storia di una bambina illegittima, abbandonata da una madre colpevole a uno zio prete e una zia zitella in un paesino del Recanatese, Dolores Prato risorge nel suo secondo libro di memorie, Le ore, che lascia inconcluso. E si racconta di nuovo cominciando proprio dove Giù la piazza finisce. La decisione degli zii di levarsela di tomo sistemandola in un collegio, e il pettine della zia sui suoi capelli ricci, che avevano assaggiato l'ar- senico contro i pidocchi, sono gli ultimi momenti in cui accanto a lei c'è l'ombra di una famiglia. Una volta superato il portone delle salesiane, Dolores è completamente sola, e la sua rabbia si concentra nella minuta osservazione di quei luoghi ostili. Sembra che la sua capacità di ricordare e descrivere sia alimentata da un odio inesauribile. Lei, che è figlia illegittima ed è ebrea, si ritrova in un convento cattolico per bambine aristocratiche. Pronuncia i nomi delle sue compagne con la distaccata curiosità di un etologo: Manzoni, Honorati, Grimaldi, Pasolini, Ruggeri Loderchi. Respira a fatica come un animaletto anfibio nel momento del trapasso dall'acqua dolce alla Teresa, nata Paolina dei conti Caccialupi Olivieri e detta «la bella di Sanseverino» per la sua avvenenza, sono le sole due figure che potrebbero alimentare un romanzo, ma Dolores Prato non ne dà che un riflesso. Sembra che le importi solo di concentrarsi nell'esercizio minuzioso della memoria: i due pozzi, uno allegro uno pauroso; i vermi pelosi e rossi del giardino; i fiammiferi, dispensati con grande parsimonia (chiederne uno significava affrontare un interrogatorio). E i gesti: il modo delle monache di tagliare lo stelo dei fiori cortissimo («se coglievano una margheritona, la decapitavano»). Anche i fiori del giardino hanno delle luci e delle ombre: attempati gli astri viola che somigliano a vecchie signore, dure e rigide come zitelle le zinnie dai colori sgargianti, polverosa la Salvia Splendida con i fiori rossi. Di compagne, di amicizie, non si parla mai. E delle monache poco. Se non per riferire, con leggero sprezzo, che mentre la Madrina pregava il Signore di farla morire «pulituccia», Suor Chiara si vantava di non aver mai fatto il bagno. Tutto qui il mondo dell'educandato salesiano della Visitazione, a Treja. Tutto nelle geometrie e nei chiaroscuri delle parole: quel «pulituccia» un po' meschino, le povere suore «Raponi» (se fossero state ricche si sarebbero chiamate «Rasponi»), la «lingeria» al posto della biancheria, il «terrore» negli occhi sbarrati della gatta nera che aveva figliato dentro il monastero, e aveva avuto per castigo una morte orrenda, sbattuta cento volte contro un tronco d'albero dentro un sacco. Lasciato il convento a diciott'anni, Dolores Prato se ne va a Roma. Frequenta l'Istituto superiore di Magistero, ritoma nelle Marche come insegnante di lettere, poi a Sansepolcro e infine di nuovo a Roma, ebrea sotto le leggi razziali. «Perseguitata politica», scriveva di sé nel 1980, «credevo di non poter fare altro nella clandestinità che raccogliere materiale per il dopo. Invece era una scusa, continuai a mettere insieme materiale per quell'altro lavoro». Lentamente, la sua casa si trasformò in un immenso archivio della memoria. Parte di quelle carte, la schedatura delle parole impiegate nella casa degli zii, a Treja e nell'educandato, si può leggere in appendice ne Le ore. Il resto lo conserva l'Archivio del Viesseux. I). Praia. In allo un chiostro monacale terra ruvida. E tace: rarissime le parole che si scambiano nelle stanze nude di questo edificio, dove c'è una camera per i pettini, una per i limoni, e una per il lavoro («era la stanza in cui noi si cuciva e si ricamava»); dove non esisteva la sala da pranzo ma il Refettorio, e dove per dormire le monache avevano le celle e le ragazze il Dormitorio. Tutto questo è il regno della Madrina, quasi una superiora, signora incontrastata del convento in cui si è rinchiusa per una delusione amorosa. E' minuta e volitiva la Madrina, «da alcuni ricercata come si cerca l'aria quando manca, da altri sopportata come nell'impossibilità di liberarsene si sopportano le pulci». Ed è anche ruvida e altezzosa, lei che al secolo si chiama Elvira Masi, viene da Lugo di Romagna, ed essendo intima dei Pasolini è in rapporto con Giosuè Carducci (Carducci era stato eletto deputato a Lugo). La Madrina e madre Maria Livia Manera himuziiim; luciumilism\i VI MOSTRA LIBRO ANTICO

Luoghi citati: Lugo, Marche, Praia, Roma, Romagna, Sansepolcro