BRAGADIN : ONORE E MORTE A FAMAGOSTA di Mirella Serri

BRAGADIN : ONORE E MORTE A FAMAGOSTA BRAGADIN : ONORE E MORTE A FAMAGOSTA FROMA UORI si avvertiva il brontolio di un temporale che si allontanava, ma nella grande chiesa di Ss. Giovanni e Paolo a Venezia il silenzio era totale: la cassetta di piombo dopo quattro secoli appariva intatta e il contenuto perfettamente conservato. Appena aperta, apparve quello che sembrava un tessuto ingiallito dal tempo, come una leggerissima tuta da ginnastica color carne ripiegata in quattro. «Ma non era stoffa invecchiata - dice Maria Grazia Siliato, ricordando che le era costato una lunga trafila burocratica ottenere l'apertura ufficiale dell'urna che si diceva contenesse le spoglie di Marcantonio Bragadin, governatore di Cipro avevo la conferma materiale, concreta di tutto quello che avevo cercato, su cui mi ero intestardita per decenni. Era proprio la pelle del governatore giustiziato dai turchi, conciata come un guanto, completa di alcuni capelli, barba color tiziano e qualche piocola falange delle dita mummificate». La bionda signora seduta nell'ampia biblioteca della sua villa in mezzo ad un aranceto vicino a Lanuvio, a partire da quell'episodio del ritrovamento del corpo di Bragadin avvenuto alcuni anni fa, ha sviluppato il suo primo romanzo, L'assedio in uscita da Mondadori (pp. 360, L. 29.000). Le ci sono voluti anni di studi e di ricerche nelle biblioteche di Istanbul, Madrid, Roma per raccogliere carteggi, documenti, testimonianze e per ripercorrere passo passo, in tutti i dettagli, la storia del tremendo assedio di Famagosta del 1570, della strenua resistenza dei veneziani e della morte del governatore. Era un intero mondo quello che si sbriciolava e andava in rovina sotto le cannonate dell'armata ottomana guidata dal terribile Serdar, Mustafà Pascià, una società opulenta, in cui abbondavano le ville lussuose, i palazzi un'occasione persa. E' da qualche settimana in commercio un quasi Tutto d'Annunzio a cura di Gianni Oliva, docente di Letteratura italiana in quel di Chieti, edito dalla Newton Compton: 11 volumi nella collana «Grandi tascabili economici» più uno nella «Biblioteca economica» dove si ripete, isolandolo, Il piacere. E proprio quest'ultimo mi è capitato fra le mani, subito intrigandomi con un errore in una delle note, tutte riservate alla traduzione delle molte citazioni da altre lingue che costellano il romanzo e tutte contrassegnate dalla sigla ndc, tutte di Gianni Oliva, cioè. 11 risultato di un rapido controllo dell'esiguo apparato è che il curatore se la cava con il tedesco, inciampa con l'inglese e con il francese, va fuori di testa con il latino. A pagina 31, la battuta con la quale Elena corregge l'accusa di Andrea di essere diventata per lui una straniera, «No, my dear. A friend», è tradotta «No, mio caro. Un amico». Facile scaricare sul sontuosi, gli splendidi giardini. Questa ricchezza esorbitante sembrava essere nata, anche, dalla tolleranza e dalla pace, dalla convivenza di numerosi gruppi etnici e religiosi, dagli ebrei ai cattolici, ai fedeli dell'Islam, agli ortodossi ciprioti. A metà del 500 a Cipro solo le chiese gotiche erano 39 e a queste si aggiungevano molti altri luoghi di culto. Per Bragadin - nel romanzo sempre solo definito il governatore - era impensabile che l'isola con le sue fortificazioni, considerate invincibili, potesse finire nelle mani dei turchi. Ed era anche certo dell'aiuto che doveva arrivare dalla solerte madrepatria. Il governatore e il suo eser- MX1. Siliato. In allo una sua fola di Cipro cito riuscirono così a resistere per un anno, fino agli ultimi giorni del luglio del 1570. La sproporzione delle forze in campo era schiacciante: 240 mila gli uomini dell'armata turca (80 mila i morti) contro 7000 difensori. Al momento della resa, quando le cannonate avevano dilaniato le fortificazioni, i viveri non esistevano quasi più, le munizioni erano sufficienti per due giorni, i soldati del governatore erano ridotti al numero di 700. Ed era ormai anche chiaro che i rinforzi tanto attesi erano destinati a non apparire e che la Serenissima aveva lasciato che i suoi andassero incontro a morte sicura. «Ho fatto lunghi sopralluoghi a Cipro - racconta la Siliato che è nata a Genova, da una famiglia di imprenditori in cui convivono tre confessioni religiose e ascendenze svizzero-tedesche, genovesi, siciliane, spagnole - dove fino a qualche anno fa si potevano ancora trovare vasellami, stoffe, frammenti di bicchieri, le monete "ossidionali", ovvero il denaro che veniva coniato da Bragadin per pagare i soldati mercenari». Dopo che erano cadute le fortificazioni di Nicosia e Kyrenia e c'erano state le impiccagioni dei comandanti, il coraggioso Bragadin certo non credeva alle promesse dei vincitori. Mustafà Pascià assicurava ai vinti una nave e il rientro in patria. Ma ben altra sorte attendeva il governatore che sarebbe stato brutalmente torturato per giorni e giorni. Appena Bragadin mise piede negli accampamenti nemici per stabilire le condizioni della resa, Mustafà ordinò che gli venissero mozzate entrambe le orecchie e che fosse lasciato in cella sanguinante e senza cure. Così ferito fu costretto a tremende umiliazioni, come a camminare nudo con dei pesanti carichi, sotto le mazze ferrate dei turchi. Poi ci fu l'ultima, decisiva mutilazione eseguita in pubblico, davanti a circa centomila soldati in festa, e il condottiero venne scuoiato vivo. Il corpo fu seppellito a Cipro. «La tomba - dice la Siliato - è un'antica caverna minoica. E davanti vi è stata costruita una cappella cristiana». La pelle invece venne conciata perché non si decomponesse e «riempita di bambagia e di paglia» e inviata nella capitale dell'impero ottomano. Da lì venne trafugata da uno schiavo e tutta arrotolata messa in una valigia diplomatica e portata a Venezia. Dove però le spoglie di Bragadin, accusato di essersi arreso al nemico, non ricevettero né onori né sepoltura. Solo 25 anni dopo la morte del governatore gli venne eretto un monumento e la pelle piegata e chiusa nel minuscolo sarcofago fu posta sotto il busto marmoreo. «L'ultima beffa nei confronti di Bragadin - racconta la scrittrice - l'abbiamo scoperta quando per prendere la cassetta impiombata abbiamo dovuto spostare il busto in marmo. E ci siamo accorti che era leggerissimo. Mandato nel 1939 a Napoli, alla mostra d'Oltremare, ne era tornata indietro una copia in gesso». Mirella Serri