Schliemann genio bugiardo

Il tesoro di Priamo? Una collezione di reperti dissotterrati in vari punti di Troia. Dalle lettere, una nuova verità Il tesoro di Priamo? Una collezione di reperti dissotterrati in vari punti di Troia. Dalle lettere, una nuova verità Schliemann genio bugiardo Grandi scoperte, con il gusto della beffa s\ LONDRA ■ I UEL bugiardo I I matricolato di 1 I Schliemann voY I ^eva duplicare il V tesoro di Priamo presso un orafo parigino e sbolognare i falsi alle autorità turche. Avrebbe così fatto fesso il sultano e messo a tacere tutti quelli che avevano subodorato l'entità delle sue scoperte. «Ma per amor di Dio non pronunciare la parola Troia - raccomandava all'intermediario che avrebbe dovuto organizzare la truffa -. Dì piuttosto che i manufatti provengono dalla Norvegia». Il tempestoso padre dell'archeologia moderna aveva cominciato a mentire sistematicamente ai propri diari ben prima di conquistare la fama, quando dunque non era possibile che scrivesse per la posterità. Schliemann aveva una tendenza patologica a ricamare frottole sul telaio di eventi veri. E' la tesi del professor David Traili, uno studioso scozzese che da vent'anni insegna filologia classica alla University of California, e che ha messo le mani su una miniera di materiale inedito custodito nell'archivio dell'American School of Classical Studies di Atene: i fluviali diari del nostro e una parte della sua folta corrispondenza mai pubblicata prima d'ora. Il frutto delle sue ricerche è Schliemann of Troy. Treasure and deceit (Schliemann di Troia. Tesoro e inganno), che uscirà a Londra in maggio da John Murray (il quale, per inciso, è l'editore inglese dello stesso Schliemann). Ora che il (cosiddetto) tesoro di Priamo sta per saltar fuori dagli scantinati del museo Pushkin di Mosca, dove è sotto chiave dalla fine della seconda guerra mondiale, l'autore riapre gli interrogativi sul suo ritrovamento. Tanto per cominciare, ha scoperto che Sophia, la moglie di Schliemann, non era affatto al fianco del marito al momento della scoperta. L'archeologo aveva sempre sostenuto che la signora era lì mentre lui picconava, pronta a insaccare gli ori nello scialle per nasconderli agli operai. Traili lo sbugiarda. All'epoca in cui Schliemann raccontò di avere disseppellito il tesoro di Troia II, Sophia stava tranquillamente ad Atene, in attesa del bel tempo. A Hisarlik, sul luogo degli scavi, faceva un freddo cane, e lei si guardava bene dal condividere la capannuccia di legname di Heinrich. Schliemann però, nella sua corrispondenza, giurava che la consorte era lì anche lei a sorbirsi le intemperie. Perché? Traili suggerisce che in questo modo gli era facile lasciar credere che il tesoro di Priamo fosse un unico lotto: Sophia ne sarebbe stata la garanzia. «Ho invece motivo di credere che i reperti siano il frutto di molti ritrovamenti in diversi luoghi di Troia - incalza lo studioso - e che Schliemann li abbia tenuti da parte, nascondendoli in casa propria, e presentati insieme per far sensazione». La prova è che alcuni degli oggetti inventariati con il tesoro erano già stati catalogati tra le scoperte di un paio d'anni prima, tra il 1871 e il 1872. Traili conclude che dal sito che Schliemann aveva definito «il palazzo di Priamo» saltarono fuori bronzi e argenti, ma i pezzi aurei più spettacolari furono quasi certamente rinvenuti altro¬ ve. Tant'è vero che Yannakis, l'aiutante greco di Schliemann e unico vero testimone dell'evento, riferì di ricordare alcuni bronzi e, quanto al resto, nebbia. Quella di Schliemann era pseudologia congenita o semplicemente di convenienza? «Per capire questo atteggiamento bisogna scavare nel suo passato - dice Traili -. Ho scoperto per esempio che il nostro si inventò di sana pianta di avere assistito all'incendio di San Francisco e raccontò il fatto nei diari con grande profusione di dettagli. Sennonché a quell'epoca non era a San Francisco. Copiò quel resoconto da un giornale». Ma che bisogno aveva Schliemann di raccontar simili balle ai propri diari? Un episodio analogo è il resoconto di un gran ricevimento organizzato in suo onore, nel 1851, dal Presidente degli Stati Uniti Fillmore. Ma come avrebbe fatto un evento a cui avrebbero preso parte 600 persone a non meritare neanche un rigo sui giornali? La stessa propensione a spianarsi la strada col raggiro Schliemann la dimostrò quando si trattò di procacciarsi la cittadinanza americana, che gli era essenziale per ottenere il divorzio dalla sua prima moglie Katerina in termini a lui favorevoli. Nonostante Traili abbia rintracciato una lettera in cui Schliemann proclama che per nulla al mondo avrebbe accettato «l'orrore dei falsi certificati e spergiuri», è precisamente questo che fece: persuase (ovvero con tutta probabilità pagò) un testimone, il quale giurò che Schliemann aveva vissuto negli Stati Uniti per il minimo richiesto di 5 anni, quando in realtà aveva sempre girovagato per il mondo. Anche a Micene il metodo dell'accumulazione sperimentato a Troia diede i suoi frutti: Traili in¬ sinua che l'eterogeneità stilistica dei manufatti attribuiti alle famose tombe a tholos sia dovuta al fatto che Schliemann li avrebbe trovati altrove, magari ottenuti di soppiatto dagli operai dietro la schiena del supervisore Stamatakis. «Trovò molte altre tombe prima di arrivare lì», incalza lo studioso. Insomma, anche quella volta Schliemann avrebbe accantonato i pezzi migliori per tirarli fuori tutti quanti in un colpo solo, come un prestigiatore dal cappello. «Ho trovato la conferma di questo metodo - aggiunge Traili - nel fatto che molto più tardi, nel 1890, Schliemann trovò una piccola tomba a Troia contenente soltanto un vaso d'argento praticamente uguale ai due rinvenuti nel tesoro di Priamo. Insomma, credo che nel 1873 avesse trovato molte tombe dai contenuti simili, che sommò aritmeticamente nel tesoro di Priamo». Una teoria che probabilmente provocherà levate di scudi tra gli accademici. La ricerca di Traili ha portato alla luce, oltre alle bugie di Schliemann, anche le sue amarezze domestiche. Una lettera tragicomica a Katerina descrive la sua disastrosa improvvisata a casa di lei, preannunciata col telegrafo, la sera di Natale del 1868. «Sei scappata perché sapevi che il tuo povero marito sarebbe arrivato, carico di regali come un albero di Natale». Quanto alle nubi che occasionalmente sorvolarono il suo secondo matrimonio con Sophia Engastromenos, esse comparvero fin da subito. Nonostante Schliemann si fosse puntigliosamente informato mediante questionario sulle qualità della candidata, il primo incontro rasentò la disfatta. Una gelida lettera di Heinrich a Sophia recita: «Quando al Pireo vi ho chiesto perché avevate un tale de¬ siderio di trasferirvi a Parigi con me, voi mi avete risposto: "I progetti matrimoniali e la scelta del marito li lasciamo interamente al giudizio dei genitori, perché hanno più esperienza. Obbediamo loro ciecamente". Perciò mi è chiaro che non mi volete come marito per il mio valore di uomo, ma perché siete schiava dei vostri genitori. La vostra risposta è così indegna di un uomo colto che ho deciso di non pensare più a voi». Benché fosse «sul punto di partire con il primo battello per Messina», le annunciava che avrebbe aspettato ancora una settimana «perché magari nel frattempo Dio potrebbe ispirarmi altre idee». Sophia gli rispondeva con un parossismo di passione e una settimana dopo erano sposati. Ma le sfuriate coniugali erano all'ordine del giorno: «Dal 18 febbraio (1870, ndr) non è passato un giorno in cui 10 non abbia maledetto il giorno che ti ho presa in moglie», le scriveva Schliemann con livore. «Il dottore dice che sarai guarita se resti incinta, ma come faccio a metterti incinta se mi riempi di rabbia dalla mattina alla sera? Piuttosto che riaverti al mio fianco per un giorno solo sarebbe mille volte meglio se mi suicidassi». Ora tempestoso, ora subdolo, Schliemann tentò per tutta la vita di diventare un eroe. Pur avendo rubato l'idea che sotto Hisarlik ci fosse Troia all'archeologo Frank Calvert, tanto sapiente quanto frescone (che Schliemann non ne sapesse nulla, è dimostrato da una lettera in cui sbaglia il nome della città e la chiama Hasserlikl, pur avendo manipolato i risultati degli scavi e magari falsificato qualcosa 11 nostro resta tuttavia, dice Traili, «un gigante nel suo campo». Però un controllo microscopico dei reperti micenei, suggerisce lo studioso, non guasterebbe affatto: troppi sono simili fra loro e la maschera di Agamennone potrebbe essere un falso moderno. La Grecia dovrebbe dare il permesso di conoscere la verità: e magari di stabilire se Schliemann abbia per caso commissionato qualcos'altro a quell'orafo parigino. Maria Chiara Bonazzi Narrò che la moglie Sophia era con lui, unica testimone, mentre scavava. Ma la signora aspettava ad Atene il «bottino» Heinrich Schliemann, e in alto l'archeologo con i suoi collaboratori. A sinistra, le rovine di Troia