Addio alle politiche di giugno di Alberto Rapisarda

Incontri Forza Italia-pds, Fini teme l'isolamento Il Senato si ferma dal 7 al 26 aprile. Sempre più stretti i tempi stabiliti dal governo Addio olle politiche di giugno Incontri Forza Italia-pds, Fini teme l'isolamento ROMA. Addio alle elezioni politiche a giugno. La speranza che Berlusconi e Fini hanno pubblicamente coltivato sino ad ora, da ieri slama in lontananza a causa di un atto sottoscritto anche da Forza Italia e An. 1 capigruppo di Palazzo j Madama, con la sola astensione j del ecd, hanno deciso di mandare il Senato in vacanza (dopo che lo | ha già l'atto la CameraI dal 7 al 26 j aprile. «Ora abbiamo la eertezza che le elezioni politiche non potranno tenersi a giugno» annuncia il senatore Vincenzo La Russa, del ecd, da non confondere col deputato di An. Perché tanta sicurezza? «Perché i provvedimenti del governo, come la legge anti-trust e la riforma delle pensioni, non potranno concludersi a fine aprile come il presidente Dini aveva promesso». Certo, di mezzo ci sono le elezioni regionali, la campagna elettorale da seguire, ci sono Pasqua e il 25 aprile dà festeggiare. E, però, ci si sarebbe aspettata dal Polo una fiera battaglia per accorciare la pausa parlamentare. Invece, la decisione è passata tranquillamente come un tacilo messaggio di rassegnazione all'ineluttabile superamento di giugno. Complice la comprensibile avversione per le elezioni anticicipale da parte dei parlamentari di qualsivoglia partilo. Ma c'è dell'altro. Il si alla lunga pausa preelettorale potrebbe essere un indiretto segnale di attenzione da parte del Polo per i mediatori in azione per trovare una soluzione accettabile per le tv di Berlusconi. Si sono mossi i suoi alleali del Ccd, si muovono i progressisti che tendono la mano al Cavaliere a patto che ci sia «una diminuzione della temperatura del conflitto», come spiega il capogruppo progressista alla Camera, Luigi Berlinguer. In pratica, le elezioni regionali non dovrebbero diventare un surrogato di elezioni politiche, come Fini va sostenendo. Si parla di trattative di Berlusconi per vendere a tedeschi e francesi, per 1500 miliardi, quote della sua società Medaset. Un affare che non si può concludere se prima non si sa come vanno a finire i referendum sulle tv. Ed ecco perché da parte della Fininvest c'è attenzione per la proposta di Veltroni. Silvio Berlusconi, sul Compre della Sera di ieri, ha però re¬ spinto l'offerta provocando sconcerto a sinistra. «Il fronte berlusconiano si decida. Vendono o non vendono? chiede il progressista Giulietti -. Si alternano inviti alla discussione ed anatemi. Un giorno si dice di voler vendere una tv, l'altro che anche l'ipotesi di riduzione bilanciala Rai-Fininvest a due reti, che per inciso non supererebbe i quesiti referendari, è frutto di malafede. In assenza di un serio accordo su una legge antitrust, non rimarrà che andare ai referendum». Per riprendere il filo del dialogo ieri sera è intervenuto Paolo Berlusconi, che corregge il rifiuto del fratello Silvio: «L'importante è arrivare a un provvedimento giusto. Certo, tra una soluzione che penalizza del tutto e una che penalizza a metà, l'ultima è preferibile. Ma i compromessi possono essere convenienti. Non è detto che siano equi». Un modo per dire: la proposta Veltroni ci interessa, parliamone. E mentre si infittiscono segnali ed approcci tra sinistra e berlusconiani, Gianfranco Fini capisce che la posta in gioco, alla fine della partita, rischia di essere il suo isolamento alla estrema destra. Perché se veramente Berlusconi accetterà di discutere delle sue tv e della legge antitrust, sarà inevitabile un clima di disgelo tra i fronti opposti, con vantaggio dei centristi di Forza Italia e danno per Alleanza nazionale. Meglio sarebbe se tra i due fronti opposti la partila delle elezioni regionali finisse «con un risultato equilibrato» fa sapere Zani, della segreteria del pds. In quel caso «sarà più probabile» il mettersi attorno ad un tavolo «per fissare alcune regole democratiche, anticipare una parte della normativa antitrust e stabilizzare la situazione finanziaria. Se ci sarà una netta vittoria della destra salterà ogni possibilità di intesa». Un gioco che esclude An, la quale avvisa che non si può discutere ora del problema dell'antitrust e che non è proprio il caso di pensare a «un secondo tempo del governo Dini. Il capo dello Stato non può trasformarsi in capo di una fazione». Alberto Rapisarda «Il pds è più a destra della Spd tedesca ma deve svecchiare il suo apparato» Romano Prodi A destra: il presidente del Consiglio Lamberto Dini Gianfranco Fini

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