Pivetti volubie turnover di segretari di Filippo Ceccarelli
=1 =1 IL PALAZZO Pivetti volubile Turnover di segretari E anche le istituzioni, come dice Irene Pivetti, hanno un cuore, beh, bisogna pure aggiungere che quello che batte sullo scranno più alto di Montecitorio ha un ritmo un po' sostenuto. Forse un po' troppo. Tre collaboratori, infatti, silurati dal presidente in meno di un anno. A giugno del 1994 è toccato a Roberto Jacopini, un'ottima persona che ancora oggi gira per il Transatlantico con l'aria interdetta, perché faceva poco. A settembre è stata la volta di Renato Farina, prima penna del Giornale, perché al contrario faceva troppo. Ora l'increscioso elenco s'allunga con il licenziamento di Franco Fiorentini, incautamente presentatalo dai rotocalchi, per la sua professione di dentista, come «l'uomo che fa sorridere l'Irene». Un signore che appena due mesi orsono appariva in foto con guanti da chirurgo, rivelando con strenuo appagamento: «Io sono il servitore del Principe. I meriti sono tutti suoi, le colpe mie. Ma è normale che sia così». E^adesso accusa i| Principe, ossia la Pivetti, cu non averlo difeso da un improbabile complotto antisemita, fi M E fuori tre. Tutti e tre, va detto, che nonostante l'allontanamento continuano ad adorare malinconicamente la Pivetti, almeno nell'originaria immagine che di lei si erano fatti «prima del cambiamento». Tre consiglieri «romani» a cui, anche senza voler essere troppo pignoli, ci sarebbe da aggiungere un quarto ex, milanese del periodo catto-leghista, che di recente ha pure lui rivendicato un ruolo di guida, esprimendo pure un certo disprezzo per gli altri suoi colleghi «spivettizzati» («maggiordomi» li ha chiamati), in una specie di pettegola ordalia che varrebbe all'Irene il titolo di «mantide» e altre stupide definizioni maschiliste. Mentre semmai occorre riconoscere che nulla più di questo inedito - e pure un tantino grottesco - turn-over di maschi immolati sull'altare del potere femminile segnala la novità dei tempi. E forse dimostra, addirittura con allegra crudeltà, il rovesciamento di vecchi stereotipi e le particolarissime contraddizioni che suscita una presenza femminile in un luogo di potere e di enorme visibilità. Perché l'incostanza della presidente nel selezionare i collaboratori, questo suo scegliersi persone di cui poi sistematicamente liberarsi è un dato di fatto tanto evidente, quanto, in fondo, scontato e pacifico. Quel che colpisce di più è che nessun uomo, dopo tutto, nessun aiutante maschio è finora riuscito a «difendere» la Pivetti e tantomeno a distogliere l'occhio sempre più invadente dei media dal ghiottissimo universo simbolico che le gira intorno. Così, tra ricordi infantili e foto osé, mariti esuli, croci, vacanze di Vandea, tra commedie paterne, spot materni e interviste di sorelle doppiatrici, tra foulard e Veneri sfrattate, zuffe fra sarti, corse nei parchi, lacrime, imitazioni e santità, Maurizio Costanzo Show e Micromega, rose rosse, romanzi inediti, fotomontaggi intrepidi, messe in latino, poeti, querele, attacchi al Polo e altre infinite sovraesposizioni, ecco, se la Pivetti è finora riuscita ad evitare la più disastrosa crisi di nervi lo deve solo a lei stessa, e alla sua identità femminile. Magari, in futuro, le conviene di non far fuori il quarto collaboratore, che poi forse non a caso - è una collaboratrice: Carla Paglia, che non è parente di quella Cannile Paglia, femminista revisionista americana per cui «se oggi una donna vuole essere credibile come capo di una nazione, dobbiamo poterla immaginare mentre manda gli uomini in guerra». Filippo Ceccarelli elli |
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