Tokyo rapporto choc sui lager di Luigi Grassia

Tokyo, rapporto choc sui lager Tokyo, rapporto choc sui lager Sevizie e esperimenti sui reclusi nel '45 GLI ORRORI DELLA GUERRA ON avevano niente da invidiare al dottor Mengele, hanno commesso atrocità indescrivibili nei campo di prigionia dell'esercito di Tokyo in Cina, ma dopo la guerra, anziché essere puniti e additati al disprezzo del mondo, i loro delitti sono stati coperti dagli americani in cambio dei risultati delle loro ricerche. Così un folto numero di medici giapponesi, o piuttosto si dovrebbe dire di criminali o di mostri, l'ha fatta franca. Alcuni hanno ricevuto persino borse di studio, per parecchi anni, da istituti di ricerca Usa; uno di loro nel dopoguerra è diventato governatore di Tokyo, un secondo direttore dell'associazione medica nazionale, un altro ancora presidente del Comitato olimpico giapponese. Non ce n'è uno che sia stato punito. Ne scrive il New York Times dopo la pubblicazione di un rapporto ufficiale nipponico sull'Unità 731, nome insignificante di un lager che per migliaia di innocenti è stato l'inferno in terra. Il documento è in inglese, redatto nel '45 per riferire agli americani degli «esperimenti». Chi è particolarmente sensibile non prosegua la lettura. L'Unità 731 operava presso Harbin, in Manciuria, e aveva a disposizione cavie umane prelevate dai vicini villaggi. Dopo la vivisezione a cui le vittime erano sottoposte, i cadaveri, segati in due, venivano conservati per ul¬ teriori esami in un corridoio, chiusi in bottiglioni pieni di alcol su cui veniva messa l'etichetta «cinese»; ma ce n'erano anche con le facce bianche e con su scritto «russo», «americano», «inglese» e «francese». Una pagina racconta del deliberato congelamento degli arti di un bambino di tre giorni, in puro stile nazi, tanto per vedere che cosa succede. C'è un problema tecnico: in assenza di orifizi, dove infilare un termometro per misurare il graduale abbassamento della temperatura interna del braccio? «Le mani dei neonati tendono a chiudersi a pugno; abbiamo allora piantato un lungo chiodo nel ditino medio - il piccolo era vivo e non anestetizzato -, così da tenere la manina aperta, e a fianco di esso abbiamo inserito il termometro». L'arto, in questo caso come in altri analoghi che hanno avuto a protagonisti degli adulti, è stato congelato «fino a diventare così rigido che battendolo con una stecca faceva lo stesso rumore che si sente colpendo un tavolo». Un medico descrive così una vivisezione: «Il cinese sapeva di non avere speranza, perciò si è lasciato legare al tavolo operatorio senza lottare. Ma quando ho cominciato a battere con lo scalpello, si è messo a gridare. L'ho aperto dal torace allo stomaco, urlava orribilmente e la sua faccia era stravolta dall'agonia. Emetteva dei suoni indescrivibi- li, poi però ha smesso. Mi ha molto impressionato perché è stata la mia prima operazione del genere». Ma non l'ultima. Lo stesso dottore (il cui nome non viene fatto) spiega perché non veniva mai usata l'anestesia: «Provavamo sui soggetti l'effetto di germi con cui li avevamo infettati - peste, antrace, carbonchio, colera, tifo -. Volevamo osservare direttamente l'effetto di questi corpi estrenei sui vari organi interni. Se avessimo introdotto altre sostanze, come degli anestetici, queste avrebbero interagito coi germi alterando l'esperimento». Un dei rapporti più raccapriccianti descrive l'agonia, vista attraverso un vetro, di una russa chiusa in una camera a gas con la sua bambina. Oltre ai dettagli di interesse medico, si parla anche delle reazioni emotive della donna, l'orrore e la disperazione, e del suo pietoso e vano tentativo di salvare le piccola copren¬ dola col corpo e con le braccia. Lo scopo ultimo dei test era quello di preparare armi chimiche e biologiche di massa. Perciò sia gruppi di prigionieri, sia interi villaggi di contadini furono bombardati con gas o con germi. In tutto, secondo stime di studiosi ed ex addetti giapponesi all'operazione, nel quartier generale dell'Unità 731 furono ammazzate almeno 3 mila persone, mentre è ignoto quante siano rimaste uccise negli esperimenti condotti sui villaggi circostanti. Ma si sa che solo la liberazione di animali da laboratorio, a loro volta infettati, avvenuta dopo la fine della guerra, scatenò nella regione varie epidemie protrattesi fino al 1948 con la morte di almeno 30 mila cinesi. Da fonti già note risulta che in vari campi furono uccise in esperimenti medici almeno 200 mila persone. Con le armi biologiche Tokyo sperava di sterminare milioni di americani. Nel 1944 duecento palloni aerostatici con germi assortiti, sperimentati anche nel lager di Harbin, furono lanciati in alta quota in aree del Pacifico dalle quali i venti stagionali spiravano verso gli Usa. Non fecero la sperata carneficina, ma cinquant'anni dopo si è saputo che sei persone morirono per questo nell'Oregon, e una nel Montana. Ma si fecero piani in stile più grande. Colture di batteri della peste particolarmente attivi, selezionati nella Unità 731, furono usate per infettare pulci, che vennero poi inserite in fiale idonee al lancio da aerei. Il 22 settembre 1945 un sommergibile salpò per la California. Aveva sul ponte un idrovolante imbottito delle micidiali capsule. Avrebbe dovuto decollare e appestare la città di San Diego. Non se ne fece nulla: la guerra era praticamente già persa e Tokyo annullò l'operazione all'ultimo momento temendo di scatenare una feroce ritorsione americana sul suo territorio. Ma lo scampato pericolo impressionò Washington, tanto da indurre il governo Usa a offrire l'impunità ai Mengele del Sol Levante, in cambio dei loro terribili segreti. Luigi Grassia I prigionieri venivano vivisezionati e tagliati in due per studiare le infezioni

Persone citate: Mengele