Devia fa i capricci, la Fenice cambia di S. Cap.

Devia fa i capricci, la Fenice cambia Il soprano canterà «Puritani» di Bellini, ma non nella versione originale Devia fa i capricci, la Fenice cambia «Non capisco certe manie per i recuperi integrali» VENEZIA. «Non ho voluto cantare queste aggiunte perché in realtà non aggiungono nulla a un'opera che già dura tre ore». Mariella Devia liquida la questione che sta accendendo l'attesa attorno ai «Puritani» di Bellini, in cartellone alla Fenice dal prossimo sabato. Il soprano, quasi senza rivali tra le interpreti del belcanto, ha preferito non eseguire un terzetto, un duetto e la cabaletta finale che un paziente lavoro di ricerca aveva ripristinato. Il più deluso è Paolo Cecchi, il giovane musicologo che tra Parigi, dove l'opera ebbe la sua prima esecuzione nel 1835, e Catania, la città natale del musicista, aveva recuperato circa quindici minuti di musica: «Tutta di pugno di Bellini. Preferì non farla eseguire quando si accorse che i "Puritani" sarebbero finiti dopo il passaggio dell'ultima corsa dell'omnibus. Non certo per ragioni arti¬ stiche. Poi morì, senza avere il tempo di reinserirla nell'opera. Poteva essere l'occasione buona, ma l'ultima parola spetta evidentemente ai cantanti». «Preferisco eseguire quello che è scritto in partitura», ribatte la Davia, che esclude qualsiasi problema vocale: «La cabaletta finale l'ho già cantata anni fa a Catania, quando me lo chiese Richard Boriynge. Non capisco certe manie per i recuperi integrali: l'opera è già lunga, questi momenti non hanno alcun valore drammaturgico». Ha vinto lei, come da tradizione, e il teatro veneziano ripone nel cassetto il proprio desiderio di recupero filologico. Dalla Grisi alla Malibran, dalla Callas alla Sutherland, la parte di Elvira nei «Puritani» è concessa solo ai talenti vocali, mai numerosi. «Parliamo piuttosto del carattere di Elvira», prosegue la Devia. «Fragile e forte, capace di convincere lo zio e il padre, ambedue uomini di potere, e di ottenere quanto vuole, rischiando perfino di perdere la ragione, ma infine vincendo, nel canto e sulla scena». Scena spoglia, quella voluta dal regista inglese Craham Vick. Spedita in soffitta l'Inghilterra dei tempi di Cromwell, viene ricostruito un ambiente freddo, ostile, di rigidissima età vittoriana. Contro queste pareti di ghiaccio si scagliano le passioni di Elvira, si esalta il valore liberatorio, assoluto, lontano da qualsiasi preoccupazione realista del canto felliniano, esile e fermo come la sua protagonista. «Il dramma per musica deve far piangere, inorridire, morire cantando», raccomandava Bellini. La Devia ricorda queste frasi, preferisce dimenticare le solerzie filologiche, dà appuntamento in scena. Santi, il direttore, annuisce. [s. cap.]

Luoghi citati: Catania, Inghilterra, Parigi, Venezia