I «prodigi» d'arte di casa Rol di Marco Vallora

All'asta ieri a Milano All'asta ieri a Milano I «prodigi» d'arte di casa Rol EMILANO ANCIUTE consolles doratissime, boiseries intagliate, trionfi di fiori, ma soprattutto specchierette in stucco e poi contenitori da tè Wedgwood, pot-pourri a forma di pagoda, tazze da puerpera in opaline o commodes in legno violetto, nei colori della capigliatura di Strehler. Goccia a goccia, 800 mila qui, 30 milioni là, se ne vanno all'asta, tra mormorii presto domati e lo scorrere rapido dei porteurs della Sotheby's (ancora intabarrati nei grembiuli fin di secolo da lift di Grand Hotel alla Proust) i «prodigi» d'arte di casa Rol: l'uomo-mistero che poteva interagire con la materia, leggere nei libri chiusi, scriverti un messaggio in un taccuino sprofondato nella tua giacca. Un universo tutto laccato e leccato, al massimo un Galle, che sembra comunque contrastare con la sua autorità di vecchio saggio distaccato dal mondo: «Una creatura abitata da forze terribili» come disse Fellini «con occhi luminosi, fermi, da fantascienza. Ciò che fa Rol è talmente meraviglioso che diventa normale». E così, in una certa effervescente normalità, tra un trillare di telefonini che non smettono di traforare la voce del battitore, Valentina Cortese che fende la sala flautata di veli e di volpi come un ectoplasma di Giulietta degli Spiriti e gli spintoni imperialisti del cosiddetto gentil sesso, che vuol mettere in luce quello status symbol tutto parvenu delle rosse palette d'asta, quasi fossero preziosi collier e agitate nervosamente come da carabinieri in frenesia se ne vanno smembrati per il mondo incensieri e parafuochi, caffettiere a tortiglioni e ninnoli vezzosi, da Rol caparbiamente voluti e accarezzati con amore: «Anche le cose hanno uno spirito», amava di re. Disorientati gli antiquari da questi prezzi capricciosi e poco da mercato, cornici (soltanto «in stile Seicento») che arrivano anche ai nove milioni, il feticismo per il personaggio Rol sostanzialmente contenuto: due milioni per i suoi apparecchi fotografici e un po' meno per la Remington. E molti mormorii quando entrano in asta, precauzionalmente fuori catalogo, cimeli con effigie del Duce. Capace di far piovere con un apporto i bottoni della giubba di Napoleone, per la gioia d'un amico, ma incapace di lucrare a fini personali, Rol adorava soprattutto i cimeli del Bonaparte. Al massimo sapeva localizzare un busto del suo beniamino, sotterrato nei luoghi più impensabili. Ma riusciva anche a scoprire, misteriosamente, quando un pezzo raro entrava nella casa di un collezionista, e insistere per averlo, poiché la sua passione del pezzo unico era più forte della sua leggendaria riservatezza compassata, di vecchio signore sabaudo. Quasi a contrapporsi a un'altra casa-mito, quella rigorosamente Impero di una non meno misteriosa personalità faustiana, il Divino Anglista e per molti Innominabile Mario Praz, Rol aveva optato soprattutto per il barocchetto tardo Settecento. Davvero difficile poter ora immaginare che in quelle stanze così agghindate e gonfie di stucchi, di arcadici papiers peints e volute rococò, potessero accadere i prodigi più incredibili e sovrumani, le smaterializzazioni tanto sconvolgenti, che attirarono e atterrirono personalità come Benedetto Croce e Fermi, Einstein o il presidente Kennedy, che a Rol concesse l'unica visita privata, nel suo viaggio ufficiale in Italia. Peccato manchino in asta i suoi quadri, cui s'era dedicato negli ultimi anni. Ritratti di rose in via di sfioritura, che gli costavano molta fatica, anche mesi di lavoro. Chissà che tormento, che impazienza, per un essere sovrumano, che in pochi istanti avrebbe potuto realizzare, soltanto agitando un pennello nell'aria, un magnifico Renoir oppure un Picasso. Marco Vallora

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