«Rapisce» per amore l'amico malato di Aids

Udine: ha portato l'uomo a morire a casa, ma i giudici vogliono accusarlo di omicidio colposo Udine: ha portato l'uomo a morire a casa, ma i giudici vogliono accusarlo di omicidio colposo «Rapisce» per amore l'amico malato di Aids UDINE. Ha ubbidito alla supplica di un malato terminale: «Quando sarò veramente arrivato alla fine, portami via di qui, voglio morire a casa», lì lui potrà dire che si è comportato da più che semplice amico, che ha rispettato le ultime volontà. Sabato è entrato in nosocomio qualificandosi come assistente sociale, è arrivato in reparto, ha caricato il poveretto sulla carrozzella e via, dritti a casa. Giusto in tempo per vederlo morire nel suo letto. Consumato dall'Aids. Di questa imperscrutabile storia di affetti resta il mero risvolto giudiziario: c'è una persona che, per questa fuga dall'ospedale e dalla vita, potrebbe rispondere di omicidio colposo e sottrazione di incapace. E' il caso dei quarantenni udinesi Fabrizio M., sieropositivo, e Andrea Magrini, l'uomo che l'ha portato a morire nella sua abitazione di via Carducci dov'era ad attenderlo la madre. «Siamo di fronte a un caso limite nella delicata materia dei diritti e delle volontà espresse o manifeste del paziente terminale», ha dichiarato il presidente della Commissione di Bioetica di Udine, Francesco Cavallo. E a una storia che sembra ricalcata dal canovaccio di «Philadelphia», il celebre film in cui un avvocato gay, impersonato da Tom Hanks, dopo aver contratto il virus ed essere stato licenziato dallo studio dove lavorava, ingaggia una disperata battaglia legale e contro la malattia, che si conclude con una vittoria e con la morte. Al fianco del protagonista, c'è sempre l'amico. Ma quella dei due udinesi è una vicenda che solleva questioni etiche e tocca la sensibilità generale. Magrini è rientrato a Udine dopo aver lavorato molti anni in una casa di assistenza ai malati di Aids a Long Beach. Ha agito sabato perché quello era il giorno in cui il «Centro di riferimento oncologico» (Cro) di Aviano lavora a organico ridotto e attenua la vigilanza. «E' stato lui a convincermi di portarlo via», ha affermato Magrini. Certo non può averglielo detto di recente: da giorni il malato era cieco e, pare, semiparalizzato. Anzi, a detta dei sanitari, l'ultimo trattamento chemioterapico lo aveva reso, di fatto, incapace di intendere e di volere. «Non è vero. Prima di uscire ci siamo fermati anche a bere un caffè al bar dell'ospedale», ha risposto Magrini. «Se n'è andato senza il nostro permesso», ha detto un portavoce dell'ospedale. «Segnalerò l'ospedale per non aver praticato a dovere tutte le terapie del caso», ha precisato l'amico. Comunque, sono stati avvertiti i carabinieri e, quando lunedì si è avuta notizia del decesso di Fabrizio M., il pm di Pordenone, Eugenio Pergola, ha scritto il nome di Magrini sul fascicolo dell'indagine che dovrà accertare «se la fuga dal Cro possa avere o meno accelerato la morte del paziente». Ma altri interrogativi intaccano, per la prima volta, la sfera dei diritti e delle volontà del ma¬ lato terminale. «Prima di esprimere un giudizio bisognerà chiarire qual è il ruolo della famiglia, perché si è mosso un amico, quali rapporti c'erano fra i due e perché il soggetto si sia preso questa grave responsabilità», ha spiegato il dottor Cavallo del Comitato di Bioetica. «Certo, nessuno può impedirci di morire in un ambiente che amiamo. Ci può essere la possibilità di ritornare a casa, il desiderio può essere espresso, rientra nell'ambito dei diritti del malato. Ma la volontà deve essere espressa in famiglia». Se la interpreta un amico «si configura la sottrazione del paziente e la responsabilità della cura è del medico. Chi viene ricoverato esprime una volontà di cura, chi vuole tornare a casa devo dirlo firmando». Nel caso di Fabrizio M., «il paziente può aver espresso il desiderio di morire a casa anche in tempi precedenti, magari parlando con pochi intimi, ma senza lasciar spazio a dubbi»: secondo Cavallo, l'unica possibilità che nel caso di Aviano la magistratura si riveli clemente con Magrini è legata alla possibilità di dimostrare «che il ruolo accanto all'amico era sostitutivo, dal punto di vista affettivo e delle cure, di quello della famiglia». «Me l'ha chiesto lui - si è difeso l'interessato -; arrivati a casa, ho cucinato per lui, poi me ne sono andato. Lunedì ho saputo che l'avevo perduto per sempre». Michele Meloni «Ho ubbidito alla supplica di Fabrizio: non voleva rimanere in corsia Potevo negarglielo?» Ha organizzato la fuga dall'ospedale fingendo di essere un assistente sociale A destra, una scena dal film «Philadelphia»; sotto, a sinistra, il ministro Guzzanti e a destra un prelievo di sangue

Luoghi citati: Aviano, Pordenone, Udine