Una coalizione europea per punire «les Italiens»

IL CASO Una coalizione europea per punire «les Italiens» IL CASO SOTTO ACCUSA CME'un coccodrillo pian" gente in giro nelle paludi valutarie d'Europa, che, dai e dai, all'ennesimo, ordinario lunedì nero della lira, come quello appena trascorso, perderà magari la pazienza e comincerà a usare le mandibole, ad azzannare senza pietà. L'analista della primaria banca d'affari internazionale che ci consegna il suo scenario; oggi infiocchettato anche con la piccola metafora animale, non parla di unaJSera. in carnee ossa, n»a>diun coccodrillino di stoffa. Sì, proprio quello della locaste i cui pingui pasti si assottigliano sensibilmente via via che la lira perde valore. Vi sembrerà forse strano l'accostamento tra lira e polo di cotone, ma invece la spiegazione è semplicissima, lapalissiana: la Lacoste, tra le aziende tessili di lusso francesi, è una di quelle che sta soffrendo di più per l'implacabile svalutazione della lira, perché sul suo mercato nazionale dilagano a prezzi più convenienti le polo italiane, mentre ciò che esporta a Sud delle Alpi viene venduto con margini ridotti del 30 per cento o su di lì. Ma il paradosso in cui ci troviamo - e che con l'aiuto del nostro analista cercheremo di spiegare - è che anche Luciano Benetton, giustamente, si lamenta: per aziende che vendono prodotti di largo consumo - ha detto al Corriere della Sera - l'attuale situazione è insostenibile, non c'è vantaggio per le Imprese, né per l'intero sistema italiano che un articolo sia messo in vendita a cento a Ponte Tresa e a Lugano costi 140. Naturalmente, nelle condizioni della Lacoste si trovano tanti altri giganti industriali, tessili e non, francesi e non. Vi basti sapere che c'è già chi ha messo su un nuovo business: compra Peugeot o Re nault, ma anche Mercedes, in Ita Ha e le riesporta in Francia e in Germania, realizzando un utile da cambio; e che le prenotazioni turistiche per la prossima estate sono cadute a picco in Francia, soprattutto a nòstro favore. Allora si capisce, forse, perché si alzano così alti lai contro Les Ita liens: la pazienza dei competitori è ormai agli sgoccioli e le lobbies si son messe in moto per chiedere provvedimenti contro l'Italia o a favore di chi dagli esportatori ita liani si ritiene danneggiato. Credete forse che in un Paese come la Francia in forte fibrillazione elet torale questi lamenti non trovino udienza calda presso Balladur e Chirac, presso i candidati alle pie sidenziali? A Bruxelles dicono che è già cominciato il solito Con Con alla parigina. I tedeschi sono sol tanto apparentemente meno agitati, ma in realtà sono altrettanto incazzati (dice proprio così il no stro analista) e cominciano a parlare esplicitamente di dumping all'italiana. Ecco, a parte tutto il resto, che cosa sta provocando il marco senza tetto né legge: prima nel Continente ci consideravano dei poveri derelitti allo sbaraglio nelle mani di politici un po' pa gliacci; adesso, col marco a 1200 Ore, alla pietà è subentrata un'ostilità serpeggiante, che ci ha trasformato in pochi mesi nei Giap ponesi, anzi nei Musi Gialli d'Eu ropa. E, per di più, con l'ostilità avremo non vantaggi economici duraturi, ma altri danni capitali. Mario Monti, esimio economista e commissario italiano all'Unione Europea, è - non soltanto per l'incarico che ricopre - persona di proverbiale prudenza e di eloquio garbato, ma aveva già previsto qualche settimana fa ciò che stava per nascere: una gran voglia in Europa di ritorsioni commerciali contro l'Italia reproba. Che cosa possono farci concretamente? Certo, nessuno avrebbe più il coraggio di proporre dazi doganali, male possibili misure sono infi- nite. Anche quelle fai-da-te, che molti partner commerciali hanno già chiesto e spesso ottenuto dagli esportatori italiani: per esempio, rinunciare a una parte del vantaggio commerciale a favore della controparte, magari concedendo forti sconti o sottoscrivendo contratti in lire, così si guadagna sul cambio metà per ciascuno. Dopo la svalutazione, nel settembre 1992, di una lira troppo a lungo sopravvalutata, molte imprese esportatrici avevano cominciato a tirare il fiato, tanto più che al cambio favorevole non corri- spondevano fiammate inflazionistiche, come si poteva ragionevolmente temere. Proprio quello che ci voleva, insomma, per rilanciare solidamente lo sviluppo. Poi, quando l'estate scorsa è cominciata la frana inarrestabile che ci ha condotto ieri a pagare un marco più di 1200 lire, qualcuno ha pensato di essere approdato nel mon¬ do di Bengodi. Ma si sbagliava di grosso e adesso sono i fatti che s'incaricano di dimostrarlo anche ai più scettici e superficiali. E' vero, sul piano interno, gli effetti della débàcle valutaria non sono ancora evidenti (se i danni immediati della svalutazione fossero così gravi «in Italia sarebbero tutti morti», ha detto Galbraith), ma sono immediati e gravi, invece, sul livello dei tassi, che giorno per giorno scontano la «remunerazione del Rischio Italia». E ogni aumento dei tassi rende più costoso il Servizio del debito pubblico, cioè quel che lo Stato deve pagare d'interessi per prendere soldi a prestito, vanificando le manovre che si susseguono. Per di più, di fronte ai primi segnali di ripresa del mercato interno, il sonno dell'inflazione si rivela sempre più leggero, perché, naturalmente, chi compra all'estero beni e servizi comincia a scaricare i maggiori costi sui prezzi interni. Ecco, questa è la bomba su cui è seduto chi ancora si compiace per la svalutazione della lira, chi gioisce di una realtà che è in continuo degrado - ha osservato Marco Tronchetti Provera - perché quando si guarda la bilancia tecnologica del Paese si vede che non solo non è in grado di porre un accento sulla ricerca come avviene in tutti i Paesi competitivi del mondo, ma neanche di importare ricerca. Insomma, per dirla più semplicemente, se volete, la nòstra è oggi una finta competitività internazionale, che fa arrabbiare i competitori, ma, in realtà, è un vero impoverimento generale del Paese, che lo colloca su un precipizio per un periodo indefinibile, ma certamente a lungo. Quanto ci vorrà per essere di nuovo veramente competitivi, se l'inflazione ripartirà a razzo? Chissà. Certo, ci sono le ragioni di bottega - riassume il nostro analista - ci sono cc<:codrilli vogliosi di Antidumping e altri animali feroci in giro per l'Europa. Ma non è soltanto per questo che l'Italia viene ormai considerata alla stregua di un drogato a rischio di overdose. Credete che si divertano quelli della Goldman Sachs a dire che non siamo più a rischio di una crisi valutaria, ma che il rischio è oggi di crisi finanziaria? A meno che non ci sia qualcuno che, in cuor suo, crede di essere perfino capace di ballare coi lupi: allora che ce ne importa di stare con l'Europa? Si può sempre andare in Sud Ameri ca a vivere con l'inflazione. Ma Galbraith non vedrà più gli italiani in così buona salute. Alberto Staterà La svalutazione spaventa gli imprenditori stranieri Nella foto a sinistra Mario Monti in alto una seduta di borsa e a destra Luciano Benetton