All'origine del cinema l'omaggio del teatro di Osvaldo Guerrieri
Il centenario alla Mole Antonelliana Il centenario alla Mole Antonelliana All'origine del cinema l'omaggio del teatro «Spettacoli della luce e dell'ombra» con macchine ottiche e autori d'oggi TORINO. Cent'anni di cinema. Ed ecco il teatro pronto a celebrare un'arte che, nata dalla sua costola, ha trovato presto la via dell'emancipazione. Alla Mole Antonelliana, futuro quartier generale del Museo del Cinema, tre «Spettacoli della luce e dell'ombra» illustrano l'età del cosiddetto pre-cinema, dominata da quegli strumenti di spettacolo meccanico che, prima dei Lumière, intrattenevano e meravigliavano un pubblico che conosceva un solo modo di riprodurre la realtà: quello della pittura. Nella circostanza, si fa teatro utilizzando proprio quelle macchine. Lanterne magiche, giochi d'ombre, caleidoscopi vengono posti al centro di una spettacolarità del tutto priva di archeologismo. Anzi, uno dei meriti del trittico sta nel sovrapporre al reperto storico una sensibilità tutta contemporanea. Si entra dalla bocca spalancata di un mascherone che non porta nel ventre di alcuna balena; semmai in un «boccorama» denso di prodigi. Un imbonitore in frac (Valeriano Gialli) magnifica la propria merce, che è tutta un incantesimo, un sogno di morgana. Ed eccoci alla prima stazione del viaggio. Entriamo nel «Mondo nuovo» approntato da Gabriele Boccaccini. Un uomo in tricorno e una sua volenterosa servente (Eldo Taricco e Adriana Rinaldi) ci fanno capire che non abbiamo ancora lasciato il Settecento. Imboniscono anch'essi, promettono visioni strabilianti. A gruppi di tre, gli spettatori vengono condotti dinanzi a una macchina con tre oblò, attraverso i quali si scorgono vedute d'Europa di straordinaria luminosità e profondità. Quelle stesse immagini vengono contemporaneamente proiettate su un grande schermo, mentre Cristina Pistoletto canta con splendida voce le meraviglie delle Ugo Nespolo illustrazioni. Alla seconda tappa ci attendono i «Naufragi» di Corallina De Maria e Jenaro Meléndrez Chas, spettacolo d'ombre melanconico e favoloso, la cui intensità viene sottolineata dalle musiche di Schumann e di Domenico De Maria. Il testo di Dario Voltolini (recitato da Alberto Jona) crea la cornice dentro la quale le bellissime sagome, agendo su quattro schermi, evocano i miti di una nostra arcaica paura: la Balena che trascina negli abissi la vita; Loreley che ammalia i naviganti con la dolcezza del proprio canto e li perde in un naufragio d'amore. Si chiude con «Teatro meccanico» di Mario Baudino e Ugo Nespolo, regia di Sergio Ariotti. Anche questo è un viaggio, un insinuarsi fra suggestioni lontane. Ma, ecco la trovata, non siamo noi che andiamo alla scoperta d'un mistero: è il mistero che rappresenta se stesso. Le immagini delle Lanterne non alludono a un tempo scomparso, testimoniano piuttosto la loro eternità. Imbarcati su una nave capace di assumere le forme più strane, gli antenati del cinema interpretano la loro continua resurrezione. Bravi gli attori (Giancarlo J. Cordiglia e Rossana Mortara) e bellissimi i vetri di Nespolo, proiettati insieme con quelli d'epoca. Il viaggio finisce. Siamo entrati nel teatro? Certo. Ma siamo anche stati i predatori (visivi) di un mondo antico, i cui protagonisti oggi sono ridotti a oggetti da museo. E il teatro ha compiuto il miracolo: è tornato a far vivere questi ordigni, li ha sottratti alla polvere delle teche e ha trasformato la memoria in avventura. Grande affluenza di pubblico. Oggi ultime due repliche. Osvaldo Guerrieri Ugo Nespolo
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