All'attacco, tigrotti di Ezralow di Luigi Rossi
All'attacco, tigrotti di Ezralow Al Filarmonico di Verona, «Salgari», non solo danza, anche effetti speciali All'attacco, tigrotti di Ezralow II ballerino nella parte del romanziere suicida VERONA. Certo Emilio Salgari mai avrebbe potuto immaginare di poter tornare nella sua città natale attraverso uno spettacolo coreografico. E meno che mai che a farlo rivivere sarebbe stato un americano, lontanissimo dalla sua cultura, ma vicino nella «esplosione della fantasia», come lo stesso Daniel Ezralow ha dichiarato. Esplosione non affidata alle incerte stampe delle edizioni popolari, ma ad uno spettacolo che non era soltanto di danza, ma soprattutto di raffinati effetti speciali. E qui, con una tecnologia ov- \ viamente più aggiornata, abbiamo rivisto proprio le bajadere (non quelle di Salgari, ma del balletto ottocentesco) e le silfidi che si libravano legate a fui nel mondo dei sogni romantici. La vita e l'opera del popolare affabulatore della nostra infanzia è stata condensata in settantacinque minuti su una musica espressamente composta da Ludovico Einaudi che aveva già collaborato con Ezralow per «Time out». Personaggio romanzesco come quelli che inventava, Salgari è vissuto nella sua sterminata fantasia che lo portava fuori dalla grigia realtà di Verona e di Torino, città dove è nato e dove ha terminato violentemente la sua esistenza con un gesto eccessivo come quello dei suoi protagonisti, l'harakiri. Ed è proprio con il suicidio che inizia e termina il balletto: suicidio come ribellione metafisica allo squallore della esistenza, simboleggiato da un ordinato palazzone borghese sullo sfondo. Lui, Salgari, l'eroe ribelle, discende da una corda a capofitto in una giungla sognata colma di corsari, danzatrici sacre della dea Kalì, prodi spadaccini, eroi del West, in un disordine temporale e geografico confuso come i suoi racconti esotici che ci hanno fatto sognare sulle sgualcite edizioni Bemporad della nostra infanzia. E vediamo in proiezione anche i disegni di Alberto Della Valle che le ornavano, disegni eseguiti con una preparazione di fotografie incredibili riprese non in luoghi esotici ma in cucina con pentole di rame e in salotti da nonna Speranza. Anche questo personaggio salgariano appare in scena con i lampi al magnesio e i «tableaux vivants» che preparava per fotografare e ispirarsi. E poi, nella consulenza letteraria dello scrittore Andrea De Carlo, appaiono in rapida successione gli immortali personaggi di Sandokan, Yanez, la Perla di Labuan, il Corsaro Nero, con l'intervento personale dello stesso Salgari (interpretato da Ezralow) che duella con le immagini della sua fantasia, proprio come aveva fatto in gioventù a Verona con un collega giornalista che aveva messo in dubbio le sue credenziali (tutte inventate) di capitano di lungo corso. E alle esplosioni fantastiche si mescola anche lo squallore esistenziale della povera moglie impazzita (la mtensa Rosalba Garavelli) e dei quattro figli destinati pure a triste fine. C'è molto Ezralow in questo «Salgari» rappresentato al Filarmonico di Verona, ma l'effetto Pilolobus e compagnia è mirabilmente posto al servizio di una visione quasi onirica che le stupende scene di Jerome Sirlin e le luci di Peter West riescono a creare. Nel corpo di ballo veronese spiccano Giovanni Patti, Diego Ciavatti, Stefano Mazza, Adrienne Balogh e Sonia Paltrinieri. Le musiche di Einaudi inseriscono, tra echi minimalisti alla Philip Glass, suggestioni orientali con efficaci squarci corali. Ci sono anche poesie di Tagore recitate in bengalese. Il successo ha giustamente rimeritato l'affascinante spettacolo. Luigi Rossi Daniel Ezralow (nella foto) fa rivivere Salgari con una «esplosione della fantasia»
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