Un rabbino anti-droga sfida l'ultimo tabù di Fiamma Nirenstein

Crociata da Israele al Messico, per convincere le famiglie a non «nascondere» i figli tossicodipendenti Crociata da Israele al Messico, per convincere le famiglie a non «nascondere» i figli tossicodipendenti IL CASO. Un rabbino anti-droga sfida l'ultimo tabù GERUSALEMME UESTA telefonata è assolutamente segreta, e ne capirai subito il perché»: così suona la voce di là dal mare o di là dall'oceano in casa di amici di origine italiana a Tel Aviv o a Gerusalemme «vorrei che tu sapessi che Vittorio (o Asher, o David) che ormai ha 17 anni, avrebbe bisogno di un periodo in kibbutz, o, chissà, nell'esercito. No, non mi fraintendere, purtroppo non si tratta di una vacanza. David (o Vittorio, o Asher) ha dei problemi molto seri. Problemi di droga; e mi hanno detto che in Israele, in kibbutz, in seno a una comunità calda, protettiva, laboriosa, i ragazzi si recuperano». Ogni giorno da tutte le comunità ebraiche, soprattutto dall'America, ma anche da Roma o da Milano, giungono in Israele decine di telefonate di questo genere. E poi, in cerca di aiuto e anche di un rifugio segreto, giungono i ragazzi delle buone famiglie ebraiche. «Israele è diventato il secchio della spazzatura delle comunità diasporiche», titolò tempo fa il grande quotidiano Maariv. Il grido d'allarme veniva, in tutta la sua crudezza, da un giovane energico trentacinquenne rabbino dai capelli rossi e dal fisico atletico, rabbi Eitan Eckstein, detto ormai «il rabbino antidroga» che vola attraverso le comunità ebraiche di tutto il mondo per indurre gli ebrei (e ultimamente anche i non ebrei) al suo metodo «Retorno International». Sì, in spagnolo, perché il primo Stato che ha aiutato il rabbino, prima ancora di Israele, è stato il Messico, dove Eckstein era stato inviato in funzione religiosa e dove invece oggi dispone di un grande ranch e di fondi statali per curare coloro che lui considera né più né meno che malati. I risultati sono ottimi: circa l'80 per cento di recuperi nel giro di ciascun anno di lavoro, e una progressiva diffusione del metodo in tutta l'America Latina, con finanziamenti statali. Adesso per lui la cosa più urgente è stabilizzare e allargare il lavoro in Israele dove già esiste un'organizzazione a Petah Tikwa, vicino a Tel Aviv, e un centro di recupero già funzionante a Ilanot; e conquistare al suo lavoro le comunità europee. Ma soprattutto è importante, per Eckstein e per chi, come l'italiana Daniela Abravanel, lavora con lui, che le famiglie ebraiche di tutto il mondo, compreso Israele, superino una pruderie tipicamente legata a una comunità delimitata, socialmente definita, spesso perbenista e famiUstica come quella israelita, e si affaccino al problema. «C'è un problema culturale specifico - dice Eitan - ad ammettere che un bravo ragazzo ebreo, specie in una famiglia benestante sia vittima di un fenomeno normalmente considerato come legato alla miseria. Proprio nell'esercito mi sono accorto, invece, che facevano uso di sostanze varie soprattutto i bei ragazzi delle famiglie eleganti. I genitori speravano che l'esercito li aiutasse, e se non l'esercito, il kibbutz. Succede esattamente il contrario. Laddove i giovani vivono più fitti, più a contatto di gomito, la droga si diffonde in un istante». La resistenza ad ammettere che la droga è un problema anche per gli ebrei è tale, raccontano Eckstein e la sua aiutante Daniela che nessun rabbino europeo ha ancora risposto a una lettera circolare spedita con l'autorevole timbro dell'Università di Bar Ilan in cui si chiede di dare informazione e collaborazione sulla situazione della droga nelle comunità. «Nascondiamo il problema sotto il tappeto, mentre ormai sappiamo che per esempio in Israele su meno di 5 milioni di abitanti abbiamo circa 15 mila tossicodipendenti, e 300 mila persone hanno fatto o fanno uso occasionale di droghe. E anche nel resto delle comunità ebraiche nel mondo il fenomeno si può valutare fra il 2 e l'8 per cento. Un fenomeno enorme coperto da silenzio». Altrettanto tragicamente silente il fenomeno dell'Aids che investe soprattutto la comunità religiosa americana, ma che ormai riguarda anche l'Italia. Nell'ultimo anno a Roma e a Milano ci sono stati due morti per Aids, e nella piccola comunità italiana non è poco. A Brooklyn si sa che nelle case stesse degli ultrareligiosi vestiti di nero si nascondono morti silenziose cariche di vergogna di ragazzi ortodossi, che si consumano fino alla fine nei letti di dolore con i riccioli laterali sul cuscino, senza visite, senza quasi che nessuno sappia della malattia. Nella cintura di New York, si valuta che fra gli ebrei ci siano fra i 5 e i 15 mila sieropositivi. Il silenzio, dunque, è il maggior nemico del rabbino Eckstein. «Il nostro metodo, prima di tutto, consiste nel lavorare con le famiglie, anche quando i drogati stessi sono assolutamente contrari a qualsiasi intervento. E' prima di tutto alla famiglia che occorre spiegare un punto basilare: lasciar passare il tempo aumenta la dipendenza. Tanto più la famiglia all'inizio cerca di evitare lo scontro col drogato e gli consente i mezzi per acquistare la droga, tanto più la tossicodipendenza aumenta. La famiglia rimanda, rimanda, soprattutto quando se lo può permettere economicamente. Dobbiamo quindi insegnare a queste famiglie benestanti che il tempo lavora contro di noi. E per facilitare la strada verso l'aiuto al ragazzo drogato creiamo situazioni ben coperte, dove non occorra dichiarare esplicitamente il proprio bisogno. E siamo sempre pronti a intervenire a domicilio e a passare molto tempo in compagnia delle famiglie che ne abbiano bisogno, e sempre tutto in modo rigorosamente gratuito. Una famiglia che capisce il problema è un ponte per il ragazzo verso la riabilitazione. E quando il padre e la madre per così dire curati, riescono a inventarsi dei sistemi per convincere il proprio caro, è quasi fatta». L'intervento curativo avviene per via comunitaria: è molto im- portante non cercare di sostituire la droga con nessun'altra dipendenza alternativa, dice il rabbino, neppure con la religione, e tantomeno con l'amore. «I ragazzi e le ragazze nelle nostre comunità vivono separati. Ognuno deve avere a che fare solo con se stesso, guai a inventarsi scappatoie emotive. E anche la Torah, che è tuttavia una grande arma contro la droga, perché agli ebrei la vita è carissima sopra ogni altra cosa, e vi è scritto "guarderai alla tua anima molto molto" (è raro che si ripeta "molto" per due volte), tuttavia la si usa in maniera non rituale, né dogmatica: sono i valori, e non la ritualità, che possono aiutare i drogati. L'ebraismo ci aiuta solo perché ci dà molti esempi, molti insegnamenti. Adamo per esempio si perde perché è spinto dalla curiosità; Noè si ubriaca perché è impaurito dal vuoto; Lot si danna perché cerca una fuga dalla realtà. Curiosità, vuoto, fuga: concetti che ci interessano, e su quelli lavoriamo con i ragazzi». Il metodo terapeutico di Eckstein è continuamente in via di perfezionamento presso l'Università di Bar Ilan. Parte dal principio che i drogati non sono invalidi, e quindi possono e debbono lavorare e mantenersi. Così vien fatto nel grande ranch nel Messico, così nella comunità di Ilanot in Israele. La chiave è l'agricoltura, praticata con le sofisticate tecnologie israeliane che consentono di produrre dispendiose primizie. Nessuno, così, deve pagare per restare nella comunità, nemmeno le famiglie abbienti e la permanenza dura mediamente un anno. Proibito il sesso, proibita la violenza. Il lavoro psicologico e culturale è il grande impegno del rabbino, che tuttavia è molto soddisfatto: «Speriamo che almeno le comunità europee, con tutte le cautele e la segretezza che ci vuole, si facciano vive come ormai sta accadendo in America. Sarebbe brutto per tutti svegliarsi all'improvviso e chiedersi: ma allora se non la prendono i miei figli, e neppure i tuoi, chi è che prende tutta questa droga?». Fiamma Nirenstein Nelle comunità di tutto il mondo si preferisce tenere il segreto, a costo di rifiutare le cure E altri giovani cercano inutilmente salvezza nei kibbutz o nell'esercito § 1 I Nell'immagine accanto § un rabbino intento nella preghiera 1 Sotto, un soldato israeliano I

Persone citate: Asher, Daniela Abravanel, Eitan, Noè