MOLINO la televisione di carta

Incontro con l'artista: a 80 anni, Milano lo celebra con una mostra Incontro con l'artista: a 80 anni, Milano lo celebra con una mostra MOLINO la televisione di carta EMILANO A Domenica del Corriere usciva il giovedì e la mattina presto Walter Molino si appostava vicino a un'edicola per godersi i lettori che guardavano le sue copertine. Un rito, la spinta a rintanarsi ancora nello studio per disegnare altre tavole, altre vignette, altre caricature, per settimanali, libri e fumetti. Si sentiva un dannato. Mai un viaggio, mai una fuga. Immaginava paesaggi e catastrofi senza muoversi mai. Consultava l'archivio che la moglie Nerina gli riforniva in continuazione e disegnava, disegnava sempre. Fu il suo momento eroico. A ricordare quei tempi Walter Molino, 80 anni a novembre, si commuove. Dice qualche parola e si interrompe. Prende fiato, poi stringe il mento. Piange. Spalanca gli occhi azzurri e ti guarda come per dire: «Hai visto come sono ridotto?». Quattro anni fa un'emorragia cerebrale l'ha bloccato. Si è ripreso, ha dipinto un'altra delle sue celebri donnine, una ragazza che legge un libro, un'Edwige Fenech bionda e morbida, una gamba giù un'altra su, mezzo distesa su un divano, un abitino bianco a stelle rosse, le braccia nude, una scollatura in cui rifulge un seno di grande maestà domestica. Ma una cura sbagliata ha fatto ripiombare Molino nello smarrimento. Da un anno si sente incapace. «Mi manca la volontà», dice in un soffio, quasi un singhiozzo. Non sa se ce la farà ad andare alla mostra che espone un centinaio delle sue tavole Anni 50 per la-Domenica: cammina a fatica, si stanca. La mostra verrà inau gurata il 28 di questo mese alla galleria «L'Agrifoglio». E' la pri ma volta che si vedono i suoi ori ginali; 60 sono in vendita: prezzo ancora da definire, ma sarà sui dieci milioni l'uno. Sta nascendo un nuovo collezionismo, con nu goli di appassionati a caccia di queste forme d'arte popolare. Sono tavole bellissime. Molino è davvero il Norman Rockwell nostrano: più mosso e impressio nistico, meno fotografico del cu gino americano, ma ugualmente gioioso, travolgente per genio co municativo. Epico è il suo Coppi in maglia gialla al Tour del '52, ri preso dal basso sullo sfondo delle montagne: ritto sui pedali, la bi cicletta un po' inclinata, le cosce gonfie di muscoli, la bocca storta nello sforzo. In un'altra tavola una ragazza giace addormentata di notte sui binari: contrasto fortissimo, fra le belle polpe dormienti e l'orrendo e immenso muso nero della locomotiva che le si erge accanto. La ragazza, ra pita e drogata, si salverà: il mac chinista la scorge in tempo. Molino ha lavorato alla Domenica per 25 anni, dal '41.1 primi tempi si alternava con Achille Beltrame. Lo conobbe portando gli alcuni disegni di prova: «Bra vo il mio furfante! Da chi li hai copiati?». Così lo accolse. Poi gl: volle bene. Un'ossessione che gli ha condizionato la vita, quel Beltrame. «Diventa come Beltrame!» lo esortava suo padre. Ma Molino si allontanò dal modello: Beltrame riprendeva le scene in campo lungo, lui portava in primo piano i volti, trovava inquadrature più sorprendenti. Era insomma più moderno. Frutto delle lunghe sedute al cinema: vedeva ogni film due volte, la prima per godersi la storia, la seconda per studiare la tecnica di ripresa. Il cinema era la sua passione: chiamava la moglie, i due figli Marina (anche lei brava disegnatrice) e Pippo (professore al conservatorio e compositore), qualche amico, e andava a girare filmetti umoristici al Parco Ravizza. In otto ore finiva una tavola per la Domenica. Non era il direttore Eligio Possenti a dargli le in¬ formazioni utili per immaginare la scena, ma Dino Buzzati, vero motore del giornale. Un'amicizia splendida, con lui. Andavano a cena alle Colline Pistoiesi, facevano gite in auto («Non voleva mai tirar fuori la sua Mercedes decapottabile verde»), giocavano a golf a Monza («Era un po' una schiappa. Perfino mia moglie lo batteva»). Una sera Dino gli telefona: «Hanno ucciso Kennedy!». Nient'altro. Molino lavora d'istinto tutta la notte. La sua fantasia a volte coglieva la realtà: quando rapirono Fangio, lo immaginò davanti alla tv circondato dai rapitori mentre guardava Jrj, corsa a cui avrebbe dovuto partecipare. Fangio venne liberato e gli raccontò che era andata proprio così. Nacque la leggenda di Molino telepatico. La Domenica era la televisione che non c'era. «Una tv ferma», la definisce Guglielmo Zucconi, che la diresse dal'61 al '72. Ai tempi d'oro vendeva da un milione a un milione e mezzo di copie. Nacque il 7 dicembre del 1899. Fu lanciata con un concorso tra i lettori: a chi faceva l'anagramma migliore della testata (aveva ancora l'arti- colo iniziale La) toccava una cassa di spumante. Vinse una signora di via Solferino a Milano che scrisse: «Ci rende dolci l'ore amare». «Non si ha idea dell'importanza di quel giornale, delle sue tavole a colori», ricorda Zucconi. E racconta che quando fu costretto ad abolirle («Dovevo elevare il tono del giornale per attirare più pubblicità»), nel suo ufficio arrivarono due signori in nero, i padrini di un capitano di Venezia che lo sfidava a duello perché lui, Zucconi, togliendo i disegni «aveva sfregiato il volto della Patria». «A norma del Codice Gelli, vademecum dei duellanti, lo sfidato ha diritto a scegliere luogo, ora e arma - rispose Zucconi -. Scelgo Piazza San Marco a mezzogiorno e una pistola ad acqua, riempita d'inchiostro». «Lei non è gentiluomo», dissero i due signori. «Sono d'accordo», disse Zucconi. Due giorni dopo giunse un telegramma del capitano: «Farolla bastonare dai miei servi». Finì lì. Walter Molino disegna fin dalle elementari: fa le caricature dei compagni sulla lavagna, lo applaudono anche i maestri. Al liceo Berchet debuttò a 15 anni su Libro e Moschetto, la rivista dei giovani fascisti, e collaborava alle riviste di moda Arbiter e Per voi signore. Al Popolo d'Italia lo volle lo stesso Mussolini. «Quando entrai io al Berchet, lui era già uscito - racconta Oreste del Buono, che firma la presentazione nel catalogo della mostra all'Agrifoglio -. Gli subentrai sul foglio scolastico e nei disegni di donne sui papiri delle matricole universitarie. Era il mio idolo: le sue donnine erano le più belle». Inimitabili donnine di Molino sottili, nervose e flessuose, in minigonna, seno euforico e sedere spiritoso, apparivano sul rizzoliano Bertoldo, dal '36 regno dell'u morismo più bizzarro e surreale, tra demenza e goliardia. Batteva no quelle di Barbara sul Marc'Au relio, fin troppo monumentali, < quelle di Boccasile su Grandi Firme, dalla sensualità sovrabbondante ed efficace («"Sono le uniche che fanno vedere la differen- za tra la carne e la calza", diceva il vecchio e caro maiale Zavattini», ricorda Del Buono). Gli uomini avevano quasi sempre faccioni da «pirla», come dice Molino. Una sua creatura era Gastone il Frescone. Molino è orgoglioso delle ragazze che disegnava: «Erano raffinate - riesce a mormorare -. Ho studiato le statue greche sui libri di mio padre. Marilyn era la mia passione. Oggi mi piace Valeria Marini, più femminile della Parietti. E' importante che la donna sia dolce, senza nulla di aggressivo». Molino alza la testa, spalanca gli occhi azzurri, sorride: «Ero un ganimede. A mia moglie dicevano: "Cosa vai con quel mostro? L'abbiamo visto con delle donne!". Mi piacevano». Adesso tace. Stringe ancora il mento, piange. Quanti ricordi vorrebbe dire ancora. Quella volta che andò con Giovanni Mosca in bicicletta al Parco Lambro, quei due giorni con Marcello Marchesi nella villa sul Garda sempre a ridere e ridere con battute e barzellette. Una banda irresistibile, i «bertoldeschi». Carletto «Fildiferro» Manzoni gli voleva bene. Nelle riunioni campali di redazione, in uno stanzone al secondo piano con dodici sedie scompagnate, il loro baccano era tale che gli impiegati della Rizzoli protestavano. Arrivavano in ritardo. Una mattina, in cima alla scalinata di piazza Carlo Erba 6, l'amministratore Ferrazzuto vide arrivare Metz e Manzoni, tirò fuori dal panciotto l'orologio e sibilò: «Sono le dieci e un quarto». E Metz: «Appena? Vieni, Carletto, andiamo a prendere un caffè». Molino distende il mento e sorride. Era bello anche il lavoro a Grand Hotel. Nel '46 Molino ne inventa il logo, disegna le copertine e i romanzi illustrati, antecedenti diretti del fotoromanzo. Il primo fu Anime incatenate. E' sua anche l'illustrazione per una canzone di Bracchi e D'Anzi: Parlano le rose, uno slowfox. Molino è stanco. Indica due quadri nel salotto. Uno l'ha fatto il padre, l'altro l'ha fatto lui: rappresenta il padre mentre dipinge quel suo quadro: «Era un inventore. Da bambino disegnava acquarelli sul tavolo di cucina: io stavo alle sue spalle e sentivo un groppo in gola... E' il mio rimpianto più grande. Mio papà era orgoglioso di me». China il capo, poi ti guarda, la bocca semiaperta, come a dire ancora «Hai visto come sono finito?». Non sei finito, Walter Molino Ti vogliamo bene in molti. Claudio Altarocca Un quarto di secolo di cronaca disegnata per le copertine della «Domenica del Corriere» «Per le mie donnine mi sono ispirato alle statue greche La mia passione era Marilyn, e oggi la Marini» Capace con la fantasia di cogliere la realtà «Vide» a distanza il rapimento Fangio «PmaLaere ptore), qualche amico, e andava a rare filmetti umoristici al Parco avizza. In otto ore finiva una tavola er la Domenica. Non era il diretore Eligio Possenti a dargli le in¬ pg j, corsa a cui avrebbe dovuto partecipare. Fangio venne liberato e gli raccontò che era Capace con la fantasia di cogliere la realtà «Vide» a distanil rapimento Fa Due copertine di Molino La Regina Elisabetta e, sotto, gli Sposi Volanti A sinistra Walter Molino Qui accanto una copertina per la «Domenica del Corriere»

Luoghi citati: Barbara, Bra, Metz, Milano, Monza, Venezia