« In Italia curiamo tutti » di Daniela Daniele
« « In Italia curiamo tutti » / medici: l'unica priorità è l'urgenza COMPETIZIONI TRA MALATI IN Italia non siamo ancora «in pericolo». Se c'è un rene da trapiantare, il criterio di scelta è quello della compatibilità tra donatore e ricevente. Se c'è un malato terminale da seguire, lo si segue fino alla fine. Costi quel che costi. Se c'è un caso urgente da trattare, lo si tratta prima degli altri, per il solo fatto che è un caso urgente. Questa è la regola. Anche se, ormai l'abbiamo capito, sta sempre più diventando una questione di soldi. E i conflitti degli ultimi anni tra i ministri del Tesoro («in Italia si spende troppo per la sanità») e quelli della Sanità («siamo il Paese europeo in cui si spende di meno») lo hanno dimostrato. L'unico ad essere salvo, però, è il «sacro» istituto della raccomandazione, per il quale non c'è «inutilità di cura», non c'è scelta economica «giusta e razionale» oppure «bieco accanimento terapeutico» che conti. Il malato raccomandato si cura. Sempre e comunque. Oggi abbiamo un ministro della Sanità che, guarda caso, è anche medico e che, di fronte alla vicenda della piccola leucemica inglese, non esita a dire: «Bisogna evitare accuratamente di affrontare i problemi sanitari solo in termini economici». Elio Guzzanti, indossando i colori più autentici della sua categoria, ricorda a colleghi (medici) e colleghi (politici): «Ogni intervento sanitario deve ispirarsi ad alcuni principi: deve essere "efficace dal punto di vista clinico"; "corretto sotto il profilo etico" e "di qualità". Gli interventi economici che cercano di ridurre le spese non possono modificare queste regole». L'etica non può essere messa al servizio dell'economia. E rendere più razionale la spesa sanitaria si può, senza per questo dover scegliere tra malato e malato: per esempio evitando di moltiplicare, dove non siano strettamente necessari, reparti e attrezzature supercostosi al solo scopo di aumentare il prestigio personale di questo o quel primario; utilizzando al meglio le molte strutture di ricerca e cura esistenti che, spesso, lavorano seriamente e nel completo anonimato soltanto perché «non fanno gioco» a qualche potente; limitando, con più severi controlli, gli sprechi di materiale sanitario e non negli ospedali pubblici; e via dicendo. La lista sarebbe lunga. Non c'è, comunque, nel nostro Paese un criterio economico con cui si discriminino i malati? La risposta del dottor Carlo Sizia, presidente della Confederazione medici ospedalieri (Cimo) non è per nulla rassicurante: «Non ancora». Che significa? «L'Italia, in campo sanitario, ha sempre scimmiottato, acriticamente, quanto viene dall'Inghilterra e già si nota qualche debole segnale di avvio sulla strada del rigore economicista, che in Gran Bretagna ha preso piede con la Thatcher. Un pericolo che sta in agguato di fronte alle migliori intenzioni di trasformare l'assistenza sanitaria in "azienda sanità"». L'obiettivo è il contenimento della spesa. In tutto l'Occidente. In Svezia non si fa più la dialisi a chi ha superato una certa età. In Olanda suscitò un vespaio di polemiche, alla fine del '93, una trasmissione televisiva (sponsorizzata dal ministero della Sanità dell'Aia) dal titolo «Una questione di vita o di morte» durante la quale s'invitava il pubblico in sala a «scegliere», tra malati gravi, quale salvare (utilizzando i fondi a disposizione) e quale perdere. Solo un gioco, per carità, solo un gioco. Ma i malati erano veri. «Noi medici siamo molto preoccupati - conclude Sizia - per questi segni d'inciviltà». E viene in mente l'altisonante slogan dell'Oms: «Salute per tutti nel Duemila». Sì, per lutti quelli che restano. Daniela Daniele L'ospedale Regina Margherita (Torino) dove si curano i piccoli leucemici
Persone citate: Carlo Sizia, Cimo, Elio Guzzanti, Sizia, Thatcher
Luoghi citati: Aia, Gran Bretagna, Inghilterra, Italia, Olanda, Svezia, Torino
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