E i giovani leoni dell'aristocrazia imprenditoriale cercano vie nuove di Cesare Martinetti

E i giovani leoni dell'aristocrazia imprenditoriale cercano vie nuove Su Genova la bandiera di Riva Un doge brianzolo dopo i boiardi di Stato LA SUPERBA E IL RAGIONIERE GENOVA DAL NOSTRO INVIATO La volta in cui avevano insinuato che avesse la residenza a Montecarlo per scappare al fisco, non ha perso tempo a compilare lettere di smentita. Semplicemente ha inviato per fax ai giornali il certificato di residenza: Riva Emilio, nato nel 1926, residente in Montemorone, Comune di Malnate, provincia di Varese. Adesso che davvero s'è spostato verso la Costa Azzurra ed è sbarcato a Genova, il certificato di padrone della città, volenti o nolenti, i genovesi saranno obbligati a darglielo loro. Qui s'è rotto l'equilibrio statico delle grandi famiglie che per decenni ha regolato il ticchettio della città. Visse il suo splendore con garanzia di Stato, benedizioni del cardinale e del pei; e proseguì in un mugugno infinito per la nobiltà perduta. Adesso il muro di Cornigliano è caduto e dalle macerie emerge come un gigante il signor Riva e la sua numerosa famiglia: da Genova a Taranto, dalla Brianza al Veneto, sulla siderurgia italiana sventola la bandiera del ragioniere. E' finita un'epoca. Lo dice con una soddisfazione che gli scappa da tutti i pori Luigi Attanasio, giovane (42 anni) presidente degli industriali genovesi: «Dopo 40 anni di partecipazioni statali, di chiacchiere utopistiche e inconcludenti, c'è finalmente un protagonista vero, un capitalista in carne ed ossa che si assume scelte e responsabilità». Quanto sia costato, non è ancora chiaro. Si dice 2 mila 200 miliardi. Ma è certamente la più grossa operazione di privatizzazione di un pezzo fondamentale dell'industria pubblica, la siderurgia, «il cui cuore - dice il felice Attanasio - batte qui a Genova, in mano ad un imprenditore impastato nei valori tradizionali del'economia. Ma lo sa che il signor Riva conosce per nome i capi operai dello stabilimento?». L'aneddotica intorno ai Riva - a proposito di valori forti - è ricca, multiforme e sembra modellata apposta per piacere ai genovesi: durezza, efficienza, pragmatismo, riservatezza, modestia, tradizione, famiglia. Il solito Attanasio scandisce ciascuna di queste parole battendo la mano di taglio sul tavolo. E siccome il capitalismo non è una faccenda da animi delicati, anche brutalità. Nel 1975 al signor Riva capitò di esse re arrestato con l'accusa di omicidio colposo per la morte di un operaio nello stabilimento di Ca ronno. La risposta dell'industria le fu la serrata: «Finché non esco io, la fabbrica resta chiusa e sen za lavoro». Questo signore, con l'acquisto della siderurgia ex Iri, è diventato ora il secondo industriale italiano dopo Agnelli: aveva un fatturato di 3 mila 200 miliardi a cui vanno ora aggiunti gli 8 mila e 500 dell'ex acciaio di Stato. In termini di prodotto 14 milioni di tonnellate, i due terzi del totale italiano. Risultato, più o meno, una montagna di 12 mila miliardi che il ragionier Riva ha scalato in 40 anni con la tenacia del self raade man: da ragioniere milanese a Krupp della Brianza. Moglie etiope (aveva un'acciaieria anche laggiù), sei figli (i tre maschi in fabbrica, «le femmine - parole di Riva - a casa»), nipoti, fratelli. Tutti in azienda: «Siamo prolifici, che posso farci se i miei manager si chiamano Riva?». In realtà, accanto ai consanguinei, c'è uno staff che si muove come una task-force: compatti e rapidi nell'intervento, dal Brandeburgo a Siviglia, dove sorge e tramonta il sole sull'impero. Superba, Genova osserva. Ma va detto che c'è del nuovo nella capitale del mugugno. La disoccupazione resta a livelli critici, ma il sistema dà segni di vita, il ritorno all'economia dopo 40 anni di Stato è contraddittorio, ma vivace. Ci sono i rampolli delle vecchie famiglie, ma anche una nuova classe. Prendiamo per esempio Nicola Costa, nipote del mitico Angelo leader confindu striale del dopoguerra, che sem bra un trentacinquenne, anche se ha già superato i 50. Nessuno scrittore avrebbe potuto assommare in una persona sola tanti valori e tanti simboli una grandissima famiglia alle spalle, la scuola dai gesuiti, la laurea (economia) con 110 e lode il diploma del decimo anno di pianoforte, il servizio sociale come capo scout. Costa nel suo patrimonio conta anche una inestima- bile collezione di violini, ma fino a pochi anni fa girava in «500» e quando passa da una stanza all'altra spegne la luce. Impasto genovese: raffinatezza, silenzio, oculatezza. «Il nuovo - dice Costa - fa fatica ad affermarsi. Ma quell'immagine di Genova paralizzata dalle vecchie famiglie è vera solo in parte. Le nuove generazioni si svegliano. Ci sono manager, terminalisti, il porto privatizzato è di nuovo competitivo anche se dobbiamo sapere che in reddito e occupati potrà dare solo un sesto di quel che dava prima. Ma l'arrivo di Riva e della Fiat nel porto di Voltri sarebbero stati impensabili dieci anni fa. E questo è bene». Sia pure nel solco delle tradizioni anche Costa è a suo modo un innovatore. Da dieci anni s'è buttato nelle crociere ed ora, nel settore, è il quinto del mondo e il primo dell'Europa continentale: 280 mila passeggeri ogni anno si divertono sulle sue nove navi. Ma contemporaneamente è anche il gestore dell'Acquario, la più luccicante, ma anche imbarazzante eredità della fallimentare Expo colombiana: è il più grande d'Europa, ha un milione di visitatori all'anno, potrebbe diventare la prima pietra di un «polo tecnologico marino», centri studi, acquacoltura e così via. Un altro erede di grandi famiglie come Riccardo Garrone dice che a Genova di «industriali non ce ne sono più», forse per riconoscere la novità Riva: «I guasti di 40 anni di partecipazioni statali hanno lasciato tracce anche negli ambiti che dovrebbero stare all'opposto dello statalismo, allevando una cultura anti-privato. Penso al sistema bancario che per l'80 per cento serviva clienti statali e aveva uno dei più bassi rapporti raccolta/impieghi: due a uno». Il cognato di Garrone (i rapporti familiari contano da queste parti), Gian Vittorio Cauvin, per anni presidente della Camera di commercio, saluta la novità Riva «Meglio lui di Lucchini, è bravissimo, ma speriamo che conservi a Genova la direzione generale... Noi genovesi non siamo bravi a far nascere nuove industrie, ma non diteci che non siamo imprenditori: commercianti in tutto il mondo, assicuratori, armatori, operatori del porto. E attenti ai quarantenni, sono in gamba». Al quarantenne Attanasio (seconda generazione di industriali della glicerina) gli affari vanno «molto, molto bene» e può disin voltamente tracciare i confini tra la sua generazione e quella dei padri nobili e, dice lui, «fané» «Sappiamo goderci di più la vita» E pensa a questa generazione vincente in cui i nomi nuovi si ac cavallano a quelli antichi. Detti un po' alla rinfusa: Gattorno, Cle rici, Grimaldi, Serra, Repetto, Cosulich, Musso, Messina. La storia e la vita hanno ridotto alla ragio ne anche quel leader mezzo Lenin e mezzo capo corporazione me dievale di Paride Batini, capo de portuali: nel nuovo porto privatizzato ha anche lui le sue tre banchine. E se sa pedalare, che pedali. • Può essere Riva il leader del rinascimento industriale della vecchia, indecifrabile Genova? Se Attanasio davvero interpreta il sentimento dei suoi coetanei, Riva è quanto meno un leader muscolare e non c'è pericolo che finisca le sue serate giocando a carte al circolo Tunnel, il più tradizionale, diretto da un altro cognato (le famiglie...) di Garrone. Per quel che riguarda il «sistema», la questione è più complessa: «Spontaneamente - dice il segretario della Cgil Andrea Ranieri - non nasce niente, la semplice deregolazione non partorisce il nuovo. Il vecchio modello è finito, ma quello nuovo ancora non c'è. Bisognerà fare politica, discutere, mettersi d'accordo, trovare insieme le vie. Quattro anni fa qui si era al muro contro muro, terminalisti contro portuali; adesso lavorano ciascuno sulla propria banchina. Non è poco». Un nuovo modello, invece, c'è. Ha il volto del professor Carlo Castellano, anch'egli somma di simboli e di genovesità: è stato un grande manager pubblico (capo della pianificazione all'Ansaldo), è stato vittima della feroce devianza operaista delle Br (e per ricordo cammina con un bastone), è il primo esploratore dell'era ignota del post-Partecipazioni statali. Insieme ad una ventina di manager ex Ansaldo ha costruito pietra su pietra un gioiello industriale che si chiama Esaote-Biomedica. Il professore trasmette voglia di fare: «In questo casino di città, stretti tra il mare, la collina che frana e immersi nei fumi di Cornigliano, siamo riusciti in un'impresa che sembrava folle». Grazie a lui e alla sua «squadretta»; ma grazie anche al professor Prodi che da presidente dell'Iri, tredici anni fa, credette nella follia. Il risultato è che la Esaote è oggi la prima industria italiana di apparecchiature elettroniche medicali, esporta la metà della produzione, fattura 234 miliardi, appartiene ai suoi manager. Che pensa Castellano dell'operazione Riva? «E' un grandissimo personaggio, il più potente dell'industria genovese, ma rappresenta il vecchio, incarna quel ciclo che si deve chiudere entro il duemila. Cornigliano va chiuso, l'area restituita alla città e alle aziende pulite e ad alto valore aggiunto». Come l'Esaote. Tra il padrone reale e quello virtuale, a Genova s'è aperta la sfida. Non di forza, ma di leadership. Cesare Martinetti E i giovani leoni dell'aristocrazia imprenditoriale cercano vie nuove A sinistra Emilio Riva Sopra Riccardo Garrone e sotto Nicola Costa