SIMONETTA TORNA A TIRAR MATTINA
SIMONETTA TORNA A TIRAR MATTINA SIMONETTA TORNA A TIRAR MATTINA ne ha 69, i capelli sono bianchi, lo sguardo (come sempre) nero o giù di lì: «L'altra settimana ero a Bologna per la riunione annuale dei critici teatrali. Mi sono accorto che il libro va bene dal rancore che leggevo nei miei colleghi». Acido allora, acido oggi. Solitario. Non ha frequentato mai quelli del Gruppo 63, né quelli del '68, né la Brera scapigliata, né i politici pettinati: «Dato che scrivevo brillante, il mondo dei letterati mi ha degnato di un'occhiata e di un'alzata di spalle. Ai tempi dello "Sbarbato", quelli della Longanesi che avevano letto il libro mi chiamarono: ma è vero che lei scrive testi brillanti per la radio? Così il libro finì dall'editore Parenti». Però poi «Tirar mattina» piacque a Vittorini che lo volle per Einaudi. E qualche anno più tardi anche Gallimard. L'esordio vero lo ebbe su «La Lettura», supplemento letterario del Corriere della Sera, direttore Filippo Sacchi. Poi subito la radio in coppia con Guglielmo Zucconi (anno 1953) con cui scriveva le disavventure di un preFracchia, l'impiegato Gorgogliati. Poi le canzoni con Gaber, i testi per Villaggio con Maurizio Costanzo, il teatro («Sta pervenire la rivoluzione e non ho niente da mettermi», «Mi voleva Strehler»). Il sodalizio con gli attori Livia Cerini, Maurizio Micheli, Luca Sandri (figlio adottivo). La direzione del Teatro Gerolamo. La tv con Roberto Benigni («Televacca») e le situation-comedy per le reti Finmvest. Basta così Simonetta? «Più o meno, sì: ho sempre lavorato come un matto». In cima però, quei tre romanzi imperdibili, specie quello che fa da cattedrale, «Tirar mattina», l'epopea notturna dell'Aldino che a 33 anni, mai sgobbato un giorno in vita sua, sta per timbrare il suo primo cartellino: garagista a 50 mila al mese: «Questa è l'ultima volta che si trotta nella notte a perdere il tempo, diamo un addio alla vita, tra poco scatta la trappola. Inizio domani mattina alle sette, meglio non pensarci troppo». Da un'osteria all'altra, con l'Alfone nero e le nazionali esportazione che stanno sempre per finire, incontri coi notturni che son tutti facce note, la Liliana con gli occhi bistrati e la tardona bionda, gli sbarbati che vanno a cocacola, i duri diventati loffi, le strade vuote giù in por¬ ta Romana o al Giambellino, le taverne piene, sempre rimasticando la vita che se n'è andata e quella che non verrà mai. Medita l'Aldino: «A vent'anni non c'è sbarbato un po' sano che non si fabbrichi il suo sognettino: scovare mia mina possibilmente minorenne, farla innamorare spedirla al batteggio e vivere di rendita comodo. Però davvero io non ci pensavo. Volevo fare il commesso». Riletti, sono romanzi come nuovi. Anche se ormai parlano d'antica Milano, scomparso quel popolo di mala e grama vita, scomparsi gli operai e scomparsi pure i navigli, che allora servivano a fabbricare nebbia e oggi niente, sono solo il dehors dei portoni blindati perché il Ticinese (oggi) è tutto un salottino senza più magone. Anni in cui c'erano altri solitari in giro per Milano, Enzo Janacci e Luciano Bianciardi, Scerbanenco e Lucio Mastronardi e vari eccentrici alla Giancarlo Fusco o Beppe Viola. Simonetta aveva studiato in Svizzera e a Roma: «Venni a Milano e ci voleva poco a capire che era la città dove accadeva tutto. Esattamente il contrario di quello che è oggi, un deserto ripugnante dove
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