La spia che voleva restare gentiluomo di Fabio Galvano

Nuova biografia: odiava omicidi e sabotaggi poi la guerra ai comunisti gli prese la mano I segreti e le imboscate di Dulles, l'inventore della Cia licenziato da Kennedy La spia che voleva restare gentiluomo Aiutò la de italiana nel '48 e avviò Tangentopoli LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Spia, sì; ma gentiluomo. E fu quello il limite - forse la colpa di Alien Dulles: perché, dopo avere effettivamente creato i servizi segreti americani, egli rimase anche nel convulso calderone delle attività clandestine un uomo all'antica, inadatto alle successive dimensioni della Cia, incapace in definitiva di coordinarne la struttura elefantiaca. Fino alla Baia dei Porci, nel 1961, che denunciò la creatura di Dulles come un carrozzone rigonfio, costoso e spaventosamente disorganizzato; e che, facendone l'inevitabile capro espiatorio, segnò la sua fine al vertice degli 007 americani. Eppure Alien Dulles, fratello del più celebre John Foster Dulles che fu segretario di Stato negli anni di Eisenhower, non fu solo padre delle spie americane ma anche l'uomo che nel periodo fra le due guerre, e soprattutto durante l'ultima, seppe codificare e creare la necessità di un'intelligence autonoma. Una biografia di Peter Grose, edita in Inghilterra da Andre Deutsch, ripercorre quell'ascesa meteorica e il successivo crollo, dalla conferenza di Versailles in cui il diplomatico Dulles si riciclò spione alla successiva attività in Svizzera per carpire i segreti nazisti, dalla nascita della Cia al giorno in cui Kennedy lo liquidò; e il ricordo di quella parabola, nel mondo del dopo guerra fredda, potrebbe anche essere letto in trasparenza come un requiem per la stagione d'oro dei servizi. La sua era l'epoca romantica dell'intelligence: l'avvocato di successo (nel periodo fra le due guerre) e lo spiritoso uomo di società non potevano che avere accesso diretto ai salotti dorati delle spie e del potere, oltre che della grande politica. E così accadde: tornato a Berna nel 1942, non più diplomatico ma agente numero 110 dell'Oss, l'Office of Strategie Services, riuscì con i suoi salottieri contatti tedeschi ad aprire un canale diretto (e neppure troppo segreto, sosteneva che «troppo mistero può essere dannoso») con i vertici nazisti che tramavano contro Hitler. Fu un periodo fruttuoso: migliaia di documenti segreti forniti da Fritz Kolbe, un collaboratore di Ribbentrop, finirono a Washington. Ma la lezione di quegli anni - Dulles sosteneva che gli agenti devono raccogliere informazioni e se possibile manipolare gli avvenimenti, ma non partecipare di persona a sabotaggi e assassini - era ormai dimenticata quando Eisenhower, dopo una frustrante attesa fra le quinte, lo mise nel 1953 a capo della Cia. Dichiarò la sua guerra all'Urss, al comunismo, a tutti i sovvertitori della pax americana: senza rinunciare a qualsiasi mezzo, ai colpi di Stato in Iran o in Guatemala. Fu un'espansione che corruppe l'affabile superspia prima di corrompere la sua stessa creatura. Il purista dell'intelligence era morto, il credo dell'attività clandestina avrebbe segnato per decenni il corso della politica estera americana. Negli anni precedenti, fra il 1946 e il 1952, Dulles non aveva soltanto fatto anticamera. Come osserva Grose, lo scioglimento dell'Oss nel 1945 era stato un errore di Truman, che infatti rimediò creando la Cia l'anno seguente. Dulles, repubblicano e quindi improponibile come capo dei servizi con un Presidente democratico, non ebbe che una consulenza. Ma fu lui, dopo il blocco di Berlino del 1948, ad assimilare e rilanciare il dettato della guerra fredda: «Propaganda, guerra economica, sabotaggio e demolizione, sovversione contro i Paesi ostili, compresa l'assistenza alla resistenza clandestina, alla guerriglia e ai gruppi di liberazione». La matrice era plasmata. Fu Dulles a organizzare, come ricorda attentamente Peter Grose, gli aiuti economici alla de per le elezioni italiane del 1948. «Fu la prima uscita della Cia nel mondo dell'attività clandestina». E nel mese di marzo una borsa con centinaia di milioni arrivò a destinazione, a Roma, in una stanza dell'Hotel Hassler con vista della celebre gradinata. Era il primo passo della nuova Italia sulla via della corruzione e delle tangenti; ma anche il primo ingaggio di Dulles sul campo della guerra fredda, oltre che una svolta per l'intelligence americana: «Il successo in Italia creò un senso di onnipotenza, la convinzione che il mondo libero potesse affrontare politicamente e con successo la sovversione comunista». L'Italia fu per Dulles l'inizio di un sogno; ma anche un inganno, perché mai più le cose funzionarono così bene per la Cia. Fabio Galvano Nuova biografia: odiava omicidi e sabotaggi poi la guerra ai comunisti gli prese la mano Alien Dulles con Kennedy: il presidente licenziò la spia dopo la «Baia dei Porci»