Scienziati, la verità amorale di Alberto Papuzzi

La ricerca e le armi: il pamphlet storico di due fisici contro i colleghi La ricerca e le armi: il pamphlet storico di due fisici contro i colleghi Scienziati, la verità amorale «Vi chiedo il giuramento d'Ippocrate» [ F! ti Poss^^e un «giuramento 1,7 d'Ippocrate» degli scienti ziati? Pensando alle reI I sponsabilità che devono 1 1 affrontare di fronte alla società e al suo futuro, è possibile che uno scienziato o un ingegnere si impegnino, «solennemente e pubblicamente», a rifiutare comunque la propria partecipazione «ad ogni ricerca il cui fine esplicito sia lo sviluppo di armamenti»? La questione è sollevata in un capitolo d'un libro provocatorio e avvincente: Macchine da guerra. Gli scienziati e le armi, che esce nella collana «Einaudi contemporanea», autori il fisico Roberto Fieschi dell'Università di Parma (tra le sue opere L'invenzione tecnologica, 1981, e Albert Einstein, 1987) e Claudia Paris De Renzi, ricercatrice nello stesso ateneo. L'attualità del libro è una data di cinquantanni fa: Hiroshima, 6 agosto '45. Da quel giorno la dimensione del problema, scrivono gli autori, è diventata immensa: «Ha toccato l'opinione pubblica, ha sollevato i movimenti di contestazione, ha scosso le coscienze di molti scienziati». E' la bomba atomica a spezzare la comunità scientifica internazionale tra «falchi» e «colombe», fin da quando Niels Bohr, il grande fisico danese, si dissocia dal Progetto Manhattan e nell'agosto del 1944 mette in guardia sia Roosevelt sia Churchill, ma lo si sospetta di essere una spia al servizio dei sovietici e lo si mette sotto sorveglianza. Nessuno può fingersi innocente, dopo l'orrore di Hiroshima, bomba all'uranio, e Nagasaki, bomba al plutonio. Ma il primo esempio di mobilitazione degli scienziati su larga scala a fini bellici risale alla prima guerra mondiale, quando 10 scienziato Fritz Haber, che era riuscito a sintetizzare l'ammoniaca dall'ossigeno dell'aria e dall'idrogeno dell'acqua, aveva avviato la produzione dei gas tossici, con la collaborazione di oltre mille chimici tedeschi. Il libro ripercorre passo passo 11 coinvolgimento degli scienzia¬ ti nella invenzione di armi, cercando di individuare i casi in cui essi offrirono un contributo specifico: dalla V2 (1942) di Werner von Braun, primo vero missile balistico, ai satelliti artificiali, alle armi nucleari. Nel 1966, in America, il Comitato Jason vide riunita una cinquantina di scienziati, fra cui due Premi Nobel, per realizzare un campo di battaglia elettronico nella guerra vietnamita. Nel 1983 Reagan lanciava il programma delle «guerre stellari» perché il fisico Edward Teller, suo amico, falco propugnatore della bomba termonucleare, «lo aveva convinto che era possibile costruire armi a energia diretta». Al giorno d'oggi, «alle ricerche militari prende ormai parte una frazione molto consistente della comunità scientifica». Qual è stata l'opposizione degli scienziati a questo progressivo trascinamento nei bassifondi dell'industria bellica? «Il livello medio di coscienza morale degli scienziati è abbastanza basso, o comunque insufficiente a spingerli a rifiutare un lavoro ben retribuito o a prendere posizioni coraggiose contro l'establishment politico-militare». Tuttavia la ricostruzione dei rari casi di dissociazione o di ribellione offre pagine spesso degne di un libro d'avventure. Quando Haber, quello dei gas tossici, lascia la Germania e si rifugia in Inghilterra, in seguito alle campagne antiebraiche dei nazisti, Lord Rutherford, inventore della fisica nucleare, si rifiuta assolutamente d'incontrarlo. Romanzesche le crisi fra i cervelli che Oppenheimer chia¬ mò a lavorare nel laboratorio di Los Alamos: tra i pochi fisici che rifiutarono l'invito il Premio Nobel Max Born e anche l'italiano Franco Rasetti, uno dei padri con Fermi dei «ragazzi di via Panisperna». Dopo l'avvio del progetto Manhattan, il primo vero dissidente fu Joseph Roblat, fisico polacco, il quale si convinse che la bomba non serviva per vincere la guerra, ma per tratta¬ re con l'Urss da posizioni di forza. Una difesa degli scienziati è stata la distinzione fra ricerca teorica e ricerca applicata. Ma esiste davvero lo scienziato puro - si domandano gli autori del nostro libro - o non finisce pei" sfumare nella realtà dei fatti? «E' scienziato puro Enrico Fermi quando elabora la sua statistica e quando studia le proprietà dei neutroni rallentati, ma è un po' meno puro quando realizza, nell'ambito del progetto Manhattan, il primo reattore nucleare; e non si comporta da scienziato quando dichiara, a proposito del progetto di costruire la bomba H (termonucleare): "Essa è sicuramente una cosa malvagia, sotto qualunque punto di vista la si consideri"». Proprio perché fra scienza e tecnica passa un confine estremamente labile, «non è lecito addossare sempre la colpa delle conseguenze nefande di una scoperta allo studioso che l'ha compiuta». Per questa ragione «non avrebbe senso dire che gli studi sui neurorecettori non andavano compiuti perché da questa conoscenza si è arrivati alla sintesi dei gas nervini». Ma, infine, ha senso o no un giuramento d'Ippocrate degli scienziati? Fieschi e De Renzi propongono un protocollo che riprende posizioni come quelle di Einstein e Russell contro la folle corsa agli armamenti, tenendo conto di fenomeni attuali come il contrabbando di materiali radioattivi. Nel cuore di questa etica dello scienziato rimane lo sgomento che colse Oppenheimer dopo il test con la bomba al plutonio, quando gli venne in mente un versetto del poema indù Bhagavad Gita: «Sono diventato la motte, distruttrice di mondi». Alberto Papuzzi •">PP«reJr ,'ess'"'°. Awwfoij» ee'"»i I mmrnmmmm A sinistra Oppenheimer; accanto il fisico danese Niels Bohr

Luoghi citati: America, Germania, Hiroshima, Inghilterra, Manhattan, Nagasaki, Urss