«Ho preso l'Aids in ospedale» di Bruno Ghibaudi

«Sono stata contagiata durante una trasfusione di sangue quattro anni fa» «Sono stata contagiata durante una trasfusione di sangue quattro anni fa» «Ho preso l'Aids in ospedale» Roma, donna accusa il Policlinico Umberto I ROMA. E' slata una trasfusione; di sangue infetto a rendere sieropositiva una giovane donna romana. La notizia proviene da una denuncia presentata qualche giorno fa alla i procura della Repubblica della Capitale. E non si è trattato di una trasfusione di fortuna, effettuata in una struttura d'emergenza. Il luogo del contagio sarebbe stato il Policlinico Umberto 1, l'ospedale più importante di Roma e dintorni, che vive di luce riflessa sul prestigio delle scuole di medicina del vicino ateneo «La Sapienza». Ed il contagio sarebbe avvenuto proprio mentre dal ministero della Sanità si respingevano con sdegno i sospetti sulle carenze della sanità pubblica nei controlli sul sangue e sugli cmoderivali, per arrivare addirittura ad affermare che i controlli italiani erano i più severi del mondo. In quell'anno Patrizia C, 39 anni, viene ricoverala d'urgenza al Policlinico Umberto I per le complicazioni di una gravidanza extrauterina. Una grave emorragia le ha fatto perdere molto sangue. Nei giorni del ricovero le vengono praticate ben cinque trasfusioni. Poi la guarigione e il ritorno a casa. Ma tre anni dopo scopre, in maniera del tutto casuale, di essere sieropositiva. «Il mio compagno ed io - spiega nella sua circostanziata denuncia non avevamo rinunciato all'idea di avere un bambino. Ma avendo constatato che lutti i tentativi per avere un concepimento naturale erano stati inutili, poco più di un anno fa ci siamo rivolti ad un Centro per l'inseminazione artificiale. Tra gli esami preliminari a cui sono stata sottoposta c'era anche quello di sieropositività. Ed è stato così che ho scoperto di essere stata contaminata dal virus Hiv». Purtroppo anche gli esami di riscontro, ripetuti nelle settimane successive, hanno confermato il primo verdetto. La donna si dice «lontana da qualsiasi comportamento a rischio» e sostiene di non avere avuto altre trasfusioni oltre alle cinque ricevute al Policlinico romano. «Ad avanzare il sospetto che il contagio fosse dovuto a sangue infetto sono slati, un anno fa, i medici dell'equipe del prof. Ferdinando Aiuti - aggiunge la donna -. E secondo loro l'occasione ò stata proprio quella delle trasfusioni al Policlinico». Ma le responsabilità non piacciono a nessuno e tutti cercano di scrollarsele di dosso. «Da quel momento sono incominciati i balletti e gli scaricabarile più rivoltanti continua la donna -. Mentre la mia vita veniva sconvolta dalla paura di un futuro preoccupante e dalla rabbia contro un beffardo gioco del destino, sul Policlinico calava una coltre di omertà. Ancora adesso, ad un anno di distanza, i nomi dei donatori ai quali è stato prelevato il sangue per le mie trasfusioni resla| no sconosciuti. Eppure sono in | molti a sostenere che in quel periodo altre due persone sono state contagiale, e forse per colpa degli stessi donatori. E una di queste sarebbe già morta». La donna ha un'urgenza che le impone una disperata corsa contro il tempo. Il 21 marzo scadono i termini per presentare al ministero della Sanità la domanda per il risar- cimento del danno. Ma senza il nome dei donatori infetti la domanda non può essere accolta. Le domande di risarcimento per contagio da sangue e da emoderivati infetti (per Aids ma anche per epatite) giunte al ministero fino a pochi giorni fa sono già più di 7500. «In questi mesi di buio e di disperazione sono venuta a sapere che molte altre persone sono state vittime di circostanze come quelle da me segnalate - aggiunge -. Si tratta di persone anche più giovani di me, di ragazzi e perfino cU bambini. Se le loro vicende non sono ancora venute fuori è perché i medici le hanno sempre nascoste dietro cortine fumogene di vario genere, per occultare anche le proprie responsa¬ bilità. E le vittime tacciono, perché non vogliono esporsi a giudizi infamanti. Per molta gente, purtroppo, l'Aids è ancora una malattia dai contorni equivoci, che se la prende solo chi va a cercarsi il contagio lungo sentieri proibiti». Un ghetto del silenzio, quello in cui si sentono rinchiusi i malati di Aids. A determinarlo hanno contribuito il nostro falso moralismo, la nostra ignoranza e la nostra indifferenza. Ma qualche giorno fa Patrizia C. non ha più sopportato l'emarginazione e ha saltato la barriera: per andare alla procura della Repubblica e raccontare tutto. Bruno Ghibaudi I " P°''c''nìco Umberto I di Roma. In alto, l'immunologo Ferdinando

Persone citate: Ferdinando Aiuti, Patrizia C, Patrizia C., Umberto I

Luoghi citati: Roma