Hillary: fate le scuole, non la guerra

Alla Conferenza per lo sviluppo il progetto Usa: spostare le risorse dalle armi al sociale Alla Conferenza per lo sviluppo il progetto Usa: spostare le risorse dalle armi al sociale Hillary: fate le scuole, non la guerra Copenaghen, il giorno della first lady COPENAGHEN DAL NOSTRO INVIATO Bolla Abzug è una delle più note attiviste del femminismo americano. «Le donne sono gli ammortizzatori di ogni cambiamento sociale», dice, ma aggiunge: «Sono ottimista, ho sempre pensato che saremo noi a cambiare la natura del potere». Ieri la sua convinzione si deve essere ancor più rafforzata, perché al vertice dell'Onu sulla povertà, a Copenaghen, tutti gli occhi e tutte le orecchie erano per Hillary Clinton, first lady d'America e forse anche del mondo. «Per raggiungere gli obiettivi di questo vertice - ha detto Hillary - i governi dovranno ripensare a come proteggere la parte più vulnerabile delle proprie popolazioni, in un'epoca in cui le risorse diminuiscono e la competizione globale accelera. Dovranno rispettare i diritti umani, compreso il diritto di donne e lavoratori ad essere protetti da sfruttamento ed abusi». Così, vestita d'un abito di velluto nero estremamente sobrio, la prima donna d'America è tornata in scena dopo mesi dalla sconfitta elettorale del marito. Il suo discorso era diretto ai potenti del mondo, ma anche a chi, a Washington, ha stroncato la «sua» riforma sanitaria, a chi vuole che i milioni di americani poveri restino abbandonati a se stessi. «I governi dovranno scegliere l'impegno, non l'isola- mento», ha insistito, citando il marito, «nel momento in cui le nostre economie e le nostre società diventano sempre più inter-dipendenti, dobbiamo lavorare per creare una comunità globale in cui la crescita economica ed il progresso sociale diano come frutti prosperità ed opportunità condivise». Convincente, Hillary, decisa ma mai arrogante, eppure a un tratto è sembrata meno credibile. E' stato quando ha esclamato: «Troppo tempo è consacrato alla pura ricerca del potere. Troppe nazioni sprecano preziose risorse per creare e comprare armi di distruzione di massa, fare la guerra e calpestare i diritti dell'uomo». E poi: «Dell'acqua pulita, una sanità por tutti, un'educazione di base ed i diritti umani sono investimenti migliori che non l'acquisto di armi nucleari». Hillary ha invitato tutti i Paesi a firmare il Trattato di non proliferazione nucleare. Ma quanto sono sincere queste affermazioni, questi appelli in bocca alla «presidentessa» della prima potenza nucleare del mondo? Hillary avrà modo di farsi perdonare oggi, quando ancora una volta prenderà la parola per celebrare l'otto marzo, la festa della donna. Lo farà dopo aver visto un'altra First lady: la regina Margherita di Danimarca. Ma intanto al «Bella center», dove si svolge la Conferenza, è suonata la prima nota d'inquietudine. «L'Onu ripete sessione dopo sessione quali azioni andrebbero intraprese, ma nulla cambia», ha detto Ablasse Ouedraogo, ministro degli Esteri del Burkina Faso, «è imperativo che noi lasciamo Copenaghen con un risultato diverso». Non sarà facile. L'Organizzazione internazionale del lavoro, l'agenzia dell'Onu incaricata di preparare la «ricetta economica» per il vertice, ha raccomandato aiuti allo sviluppo, investimenti pubblici, e tasse: una miscela che il «Wall Street journal» ha immediatamente bocciato come produttrice di inflazione, disoccupazione, e dunque povertà. Il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Michel Camdessus, ha ripetuto ieri che «la di¬ sciplina di bilancio è una vera conditio sine qua non del progresso umano e sociale». L'emblematico caso del Messico, schiacciato tra l'obbligo di austerità e la presenza di 14 milioni di miserabili, è stato illustrato dal ministro dello sviluppo Carlos Rojas. Il fatto è che nelle nostre democrazie nessuno accetterebbe volentieri le politiche necessarie allo sviluppo del Terzo mondo: tagli a spese e servizi, trasferimento di ricchezze, fine dell'agricoltura. Il caso del Giappone è emblematico: i Paesi poveri avevano chiesto di annullare i loro debiti, e di avere più aiuti. L'unico Paese a dire apertamente no, per ora, e stato quello del Sol levante. Ma l'egoismo è di casa anche in Europa. Un mese fa i Quindici non son riusciti a concordare gli aiuti alle ex colonie, mentre il britannico John Major a Copenaghen non si farà nemmeno vedere: forse per non ricordare agli elettori che il 25% degli inglesi vive al di sotto della soglia di povertà. E allora? E allora non resta che sperare negli uomini di buona volontà, nei piccoli quanto insoliti gesti di solidarietà. Come il portare gli aiuti al Terzo mondo dallo 0,3 allo 0,7% del prodotto interno lordo dei Paesi ricchi. O come cancellare il debito, come ha promesso la Danimarca. Per noi sarebbero piccoli sacrifici. Per loro è la vita. Fabio Squillante *

Persone citate: Ablasse Ouedraogo, Carlos Rojas, Fabio Squillante, Hillary Clinton, John Major, Michel Camdessus