La lira balla a 1190, il dollaro affonda

Il supermarco senza freni travolge monete e banche centrali. Anche Wall Street in picchiata Il supermarco senza freni travolge monete e banche centrali. Anche Wall Street in picchiata la lira balla a 1190, il dollaro affonda Martedì da brividi sui mercati ROMA. Non se ne esce: alla fine di una giornata incerta, il cambio lira-marco ha fatto un salto oltre quota 1200, per poi riassestarsi a 1190. Colpa della crisi valutaria internazionale che spinge il dollaro a nuovi vertiginosi minimi storici; colpa ancor più dei nuovi dubbi sulla sorte della manovra economica Dini. 11 mercato ha reagito subito con un ribasso al «penso di sì» con cui Silvio Berlusconi ha risposto alla domanda se il no del Polo fosse definitivo. Poco dopo, l'approvazione in Senato del decreto-legge da 20.600 miliardi, per quanto ampiamente prevista, ha spinto la lira a un lieve recupero. Accade così ancora una volta che eventi politici possano far guadagnare o perdere in pochi minuti chi lavora sui mercati dei cambi. Gli operatori passano dal video con le quotazioni al video con le agenzie di stampa. Può succedere in tutti i Paesi, da noi sta capitando ogni giorno; e capita in un mercato sottile, con pochi affari, spinto a estremi di nervosismo da una crisi internazionale che sembra sfuggire a ogni possibilità di controllo. Oggi si è trattato di oscillazioni dell' 1% circa, in altri casi di più. A New York in serata la lira era a 1191 sul marco, 1663 sul dollaro. Debole la Borsa, con l'indice Mibtel a meno 0,77%. La caduta del dollaro, ieri fino a una punta di 1,3595 marchi (ai tempi di Reagan erano più di 3, un anno fa 1,7), comincia ad apparire ingovernabile. Ieri ha cominciato a preoccupare la Borsa di Wall Street, che finora se ne era infischiata, e l'ha spinta a un grave ribasso. L'esodo dei capitali verso Francoforte e Tokyo non prefigura un nuovo equilibrio duraturo. Il marco non può sostituire il dollaro come stabile moneta di riserva perché il ruolo della Germania nella finanza internazionale non ò tale da sostenerlo; semplificando, perché non ci sono abbastanza marchi in giro per il mondo. Ancor più impressionante è stata la caduta del dollaro verso lo yen. La punta massima di ieri è stata 88,90 yen per un dollaro (da confrontare con i 100 un tempo ritenuti soglia invalicabile, e i 105 di un anno fa). Poco dopo, c'è stato un rimbalzo al di sopra di quota 90. E lo yen sale perché il Giappone, colpito dal terremoto, e ancora sofferente degli eccessi finanziari del passato, si ripiega su sé stesso rinunciando a investimenti in dollari. Ha complicato ancora le cose la novità di ieri in Germania: il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici bavaresi, che farà da guida ad altri accordi salariali. Dopo un'iniziale incertezza, i mercati lo hanno considerato moderatamente inflazionistico. Vale a dire che in qualsiasi altri Paese avrebbe spinto la moneta al ribasso. In Germania no: siccome la B\mdesbank è al di sopra di ogni sospetto di lassismo, si ritiene che presto o tardi essa reagirà aumentando i tassi di interesse. Dunque il marco si è rafforzato ancora, i titoli pubblici tedeschi sono calati come comporta l'aspettativa di aumento dei tassi. Nessun segnale distensivo è venuto dalle banche centrali europee, riunite a Francofone. Qualche parola strappata l'altra sera al governatore Antonio Fazio aveva fatto pensare a possibili risultati; invece non ha parlato nessuno. Al secondo giorno appena dopo la svalutazione, la peseta spagnola ha già eroso metà della nuova fascia di oscillazione del 15% sul marco. Molti Paesi europei rimproverano la Germania di inazione contro il rialzo del marco; la Germania a sua volta accusa gli Stati Uniti di indifferenza verso il ribasso del dollaro. Come discolpa, ieri oltre Atlantico sono state pronunciate dichiarazioni: per il sottosegretario al Tesoro Larry Summers «gli Stati Uniti hanno ancora piena capacità di intervento a sostegno del dollaro»; per la Casa Bianca «è nell'interesse degli Usa un dollaro forte». «Uno dei pochissimi modi per far alzare un po' il dollaro — commenta il presidente della Fiat Giovanni Agnelli — è alzare i tassi di interesse negli Stati Uniti». Finora la Federai Reserve aveva preferito creare l'aspettativa di una stabilità nei tassi, perché la ripresa economica sta perdendo vigore; ora si comincia a ritenere che non potrà evitare un rialzo, forse già a fine mese. E' questo che ha innescato la caduta delle quotazioni a Wall Street ieri. Stefano Lepri I governatori riuniti a Francoforte Molti timori sui mercati per un rialzo dei tassi d'interesse in Germania e Usa II biglietto verde ai minimi sullo yen DICÈMBRE 1971 ACCORDO DI WASHINGTON: NUOVA PARITÀ" CON II DOLIARO. AUTORIZZATE fLUTTUA/IONI CHE MON ECCEDANO II 2,25%DEL TASSO UFFICIALE 11970 1971 .197? 1973 * ^Mr * * * * ******* FEBBRAI0 1987 f. AGOSTO1990 ACCORDO DEL lOUVRE. 1 L'IRAQ INVADE IL KUWAIT. 1 1MINIS1RIDELLE FINANZE 1 ILDOLLARO DEL G7 CERCANO 1 RIPAftlE Al RIBASSO | DIFERMARE ; LACADUTADELDOILARO 1 ■eh MARZO 1995 LA CRISI MESSICANA E LO STRAPOTERE DEL MARCO PIEGANO LA MONETA USA CHE SCENDE A QUOTA u7 1983 098*1 1985 19M 1987 1988: 1989 1990 1991 ; 1992: 1993 1994 95 Alan Greenspan presidente della Fed In Usa c'è timore per i tassi

Persone citate: Alan Greenspan, Antonio Fazio, Dini, Giovanni Agnelli, Larry Summers, Reagan, Silvio Berlusconi, Stefano Lepri