«Noi donne nelle trincee d'Algeria» di Domenico Quirico

«Noi donne nelle trincee d'Algeria» «Questa tragedia è figlia delle colpe del partito unico e della corruzione» «Noi donne nelle trincee d'Algeria» Parla Ouared, leader femminista ed ex partigiana TRE ANNI DI CALVARIO ATORINO LI Benhadj, numero due del Fis, predicatore incendiario della moschea di Bab el-Oued ad Algeri, è il Saint-Just della rivoluzione islamica. Nel giugno del '91 lanciò una terribile fatwa, un decreto religioso: autorizzò i fondamentalisti a impadronirsi dei beni di chi si opponeva al volere di Allah, dichiarò i loro corpi bottino di guerra. Gli zelanti calvinisti del Profeta aggiunsero a quel decreto omicida un passaggio: anche le donne facevano parte di questo bottino, erano prorietà degli islamici, «in nome di Dio». La prima donna che ha sperimentato questa atroce parodia della Legge si chiamava Akila, la moglie di un imam ostile ai fondamentalisti a Maàlma, una città a 150 km da Algeri. Fu violentata da un gruppo di ultra, prima di essere uccisa. A El-Hachimia hanno fatto di peggio: non si sono fermati neppure davanti a una bambina di nove anni. E alla cru- deità hanno aggiunto l'orrore di lasciarla in vita dopo aver massacrato tutta la sua famiglia. Il numero delle donne uccise negli ultimi due anni, da quando i fondamentalisti hanno affondato le fauci nella vita algerina, si conosce: oltre duecento. Quello delle ragazze violate, umiliate, è un segreto doloroso. Ouared Akila, combattente della lotta di liberazione, presidentessa dell'associazione «Défence e promotion des droits des femmes», ascolta queste storie ogni giorno, aggiorna con nuove fotografie e nomi il dossier di questa dolorosa passione; ragazze strappate ai loro parenti con la violenza, rapite per strada, davanti alle scuole, e portate nei santuari dei fondamentalisti dove vengono tenute come «donne di conforto». «Gli islamici hanno portato una pratica orribile che da noi non è mai esistita, quella del matrimonio temporaneo. E così a violenza si aggiunge violenza: quella che le donne su¬ biscono con l'assassinio dei loro figli mariti, padri; e quella diretta, perché sono come gli intellettuali, i giornalisti, gli stranieri: bersagli». L'associazione delle donne, nata più di dieci anni fa per realizzare l'eguaglianza effettiva in uno Stato che si vantava della sua laicità, è in prima linea nella seconda guerra d'Algeria. «La desolazione in cui viviamo oggi - spiega Ouared Akila - è figlia delle colpe del partito unico, della sua corruzione. Ma bisogna fare una scelta: vivere sotto un regime teocratico, senza libertà, quello proposto dagli integralisti, o essere cittadini liberi ed eguali di una democrazia da costruire. Perché non è vero che la violenza degli islamici è stata la conseguenza della interruzione del processo elettorale. Basta leggere la data dei primi assalti alle caserme, i ferimenti di studenti, il rogo delle case e dei beni di donne che vivevano sole o erano divorziate. Il progetto di società fondamen¬ talista è uno solo, dichiarato: interdire la democrazia». «La nostra battaglia di donne è cominciata tanto tempo fa - aggiunge Akila - quando venne introdotto un codice della famiglia retrogrado e anticostituzionale, per cui la donna algerina poteva diventare ministro, svolgere qualsiasi lavoro, ma non era padrona della sua vita, per sposarsi doveva avere un tutore, il padre, un fratello, un cugino. Adesso c'è questa guerra. Ma questo non è una guerra di religione, perché l'Islam è in Algeria da secoli senza problemi e senza odi, appartiene a tutto il popolo. La nostra tragedia è figlia dell'uso politico della religione. L'Algeria si spegne a poco a poco, ma gli algerini, tanti algerini, non si rassegnano, vanno ogni giorno al lavoro, studiano, la vita continua, con difficoltà, con dolore. Aiutiamoli a resistere». Domenico Quirico

Persone citate: Benhadj, Ouared, Ouared Akila, Profeta

Luoghi citati: Algeri, Algeria, El-hachimia