Aidid: il mio nemico era l'Onu

Aidid: il mio nemico era POnu Aidid: il mio nemico era POnu — ; «Alla Somalia servono aiuti, non colonizzatori» i j IL SIGNORE DELLA GUERRA LMOGADISCIO E forze del generale Farah Mohamed Aidid e quelle del suo rivale, Ali Mahdi, i «signori della guerra», hanno lottato assieme per abbattere il regime dittatoriale di Siad Barre, ma da quattro anni si contendono il potere in una cruenta guerra civile. L'Onu, intervenuta nel 1992, ha iniziato la missione «Restore hope» con fini umanitari ma strada facendo è diventata un concorrente in più nella lotta tra clan. Le truppe degli Stati Uniti sono sbarcate mettendo una taglia sulla testa di Aidid ma se ne sono andate senza riuscire a catturarlo, perdendo anche molti soldati nell'operazione. Gli altri Caschi blu si sono ritirati la scorsa settimana, senza aver centrato il loro obiettivo. Nonostante tutto ciò, Aidid si mostra convinto che il suo Paese possa farcela ad uscire da un tunnel fatto di fuoco, di sangue e di povertà. Sarete capaci di risolvere i vostri problemi dialogando o la guerra è l'unica alternativa dopo la partenza dei Caschi blu dalla Somalia? «Sono molto contento che le truppe straniere se ne siano andate. Dopo la loro ritirata, Mogadiscio è più tranquilla e la Somalia felice. E' il principio della fine dei nostri problemi. Adesso sì che possiamo sederci tutti come fratelli attorno ad un tavolo e parlare del futuro». Questo significa che la - guerra era dovuta alla presenza delle forze internazionali? «Esattamente. Le truppe di occupazione straniera erano il nostro unico nemico. Era questo l'ostacolo che impediva alla guerra di finire». Vuol dire che la guerra finirà presto? «Di più: la guerra in Somalia è già finita. E non solo a Mogadiscio, bensì in tutto il Paese. Mio "fratello" Ali Mahdi ed io abbiamo raggiunto un accordo di pace. L'altro ieri abbiamo cominciato delle conversazioni per trovare soluzioni che permettano di ricostruire la Somalia, formare un governo di transizione, rimettere in funzione i servizi pubblici, ottenere un disarmo effettivo della popolazione civile, creare le condizioni perché i profughi possano finalmente tornare e mettere le basi per un futuro di pace e libertà». Siete pronti a raggiungere questi obiettivi anche senza l'aiuto internazionale? «Sappiamo che ci aspetta un compito durissimo. Il futuro adesso è nelle nostre mani, ma abbiamo bisogno che la comunità internazionale ci aiuti. Senza il suo appoggio il mio Paese non potrà farcela». Non è una contraddizione con la sua avversione alle truppe dell'Onu? «No, assolutamente. Quel che chiedevamo prima e quel che chiediamo ora è solamente che ci aiutino, non che ci colonizzino. L'occupazione dell'esercito invasore è finita e la Somalia, che fa parte della comunità internazionale, vuole mantenere buone relazioni con tutti i Paesi. Siamo disposti a dimenticare quel che è successo e a centrare i nostri sforzi sulla ricostruzione del futuro». Però la comunità interna¬ zionale si è fatta in quattro per aiutare la Somalia e ha dovuto ritirarsi. Con quali argomenti pensate di convincerla a tornare? «L'argomento principale è che la Somalia è un Paese libero, in cui la guerra è finalmente finita perché il nemico si è ritirato. Ora siamo nelle condizioni di garantire la sicurezza ai cittadini stranieri che verranno a casa nostra a collaborare alla ricostruzione». Perché l'Onu ha fallito in Somalia? «Perché è venuta per prestare aiuto umanitario e invece ha cercato di colonizzare il Paese, di dominarlo. Ha cominciato a fare la guerra, a distruggere proprietà, ad uccidere... e que¬ sto non lo potevamo proprio permettere. Abbiamo bisogno di collaborazione, di aiuti umanitari: che tornino le organizzazioni non governative e anche gli organismi dipendenti dall'Onu, non le sue truppe». Sarà lei il futuro presidente somalo? «Non dipende da me. Ci saranno libere elezioni. E allora sarà il popolo a decidere». Accetterebbe una sconfitta elettorale? «Ricoprirò il ruolo che la mia gente vorrà assegnarmi». Permetterà che la Somalia diventi una repubblica islamica? «La Somalia è una repubblica e tutti siamo musulmani. Questo popolo da sempre vive in accor¬ do con il Corano». Però c'è una gran differenza tra un Paese di religione musulmana e un altro che si regga sulla legge islamica. «Sarà sempre e comunque il popolo somalo a decidere il suo futuro». E' d'accordo che si faccia un referendum? «E' una possibilità, però gli incontri con il mio "fratello" Ali Mahdi sono cominciati soltanto l'altro ieri e non abbiamo ancora avuto tempo di affrontare questo argomento». Javier Mellado Copyright «El Mundo» e per l'Italia «La Stampa»

Persone citate: Aidid, Ali Mahdi, Farah Mohamed Aidid, Javier Mellado, Mundo, Siad Barre