« Lombardo vittima della mafia »

Caselli: ecco perché gli ho reso omaggio « Lombardo vittima della mafia » Caselli: ecco perché gli ho reso omaggio IT IL CORDOGLIO DEL PROCURATORE TORINO EI cassetti delle scrivanie della procura della Repubblica di Palermo non c'è alcun fascicolo intestato a Lombardo Antonino, maresciallo dei carabinieri. Non c'è e non c'è mai stato. Numerose, al contrario, le carte sui malaffari che i potenti di Terrasini, e non soltanto loro, hanno intrecciato con quella holding del crimine chiamata Cosa nostra. Ma per l'uomo che si è tolto la vita, la massima considerazione, quella ufficiale e quella personale, che è la più importante. I magistrati di Palermo lo hanno voluto confermare partecipando ai funerali, il procuratore Giancarlo Caselli ha fatto altrettanto, interrompendo, domenica, la sua «tre giorni» torinese. Un volo fino a Punta Raisi, poi la corsa per portare alla famiglia una solidarietà non di maniera. «Sono andato appositamente a Palermo per rendere omaggio alla salma». A sera era rientrato a Torino. Appariva provato. «Vorrei aprire questo nostro incontro con considerazioni di speciale anche se molto triste attualità», ha detto ieri ai ragazzi che affollavano la scuola media «Don Milani» di Venaria. E l'attualità era quel suicidio, erano i morti del giorno prima e quelli dei giorni an¬ cora precedenti, a Palermo e a Corleone. E l'attualità sarebbe stata, a sera, l'agguato assassino. Il procuratore la notizia l'aveva saputa a casa, dalla televisione e da una telefonata dal suo ufficio. Ha ascoltato in silenzio, poi ha chiesto: «Ci sono altri particolari?». E' di nuovo guerra, in Sicilia. «Una terra che alterna momenti esaltanti con altri di forte cupezza che ne fanno una terra devastata, dominio della criminalità organizzata, di Cosa nostra soprattutto. E chi ci vive deve subire. Sì, il suicidio del maresciallo è un altro, triste, tragico episodio», aveva detto. «Dobbiamo ricordarlo col rispetto dovuto al lavoro suo e dei carabinieri». E in mattinata, a Grugliasco, ad altri ragazzi, aveva sottolineato come quel sottufficiale fosse una «vittima di mafia». Poi aveva sottolineato due cose che, forse più di altre, gli stanno a cuore: «Sono ricomparse delle ombre, come la rinascita della polemica contro l'uso dei pentiti e la nuova montante insofferenza contro i giudici». All'istituto tecnico «Ettore Majorana» c'era anche Luciano Violante, per anni presidente della Commissione parlamentare antimafia. Con quella sua voce pacata e ferma, aveva detto: «Non sappiamo quali siano i motivi per cui Lom¬ bardo si è suicidato. Ma chi ricopre funzioni pubbliche deve essere cauto prima di lanciare accuse a chi non può immediatamente difendersi». Difficile credere che ogni riferimento a Leoluca Orlando fosse casuale. La Cosa nostra, anzi, la Cosa loro. A Venaria, a quei giovani attenti e silenziosi, Caselli aveva spiegato che si tratta di un'organizzazione che «è sì criminale, ma non soltanto. E' un problema di polizia ma anche altro. E' cultura, se vogliamo sottocultura. Unitaria, verticistica, con un suo territorio, una struttura e una gerarchia precise e compartimentate. E una specie di ufficio per le relazioni esterne». Quelle stesse utili alle fornicazioni fra Cosa nostra e certi politici o finanzieri o industriali indifferenti a come arrivi il denaro. Purché arrivi. «Da parte di qualcuno c'è un patto di non belligeranza, se non addirittura un patto di scambio con queste forze criminali». Perché «da un lato Cosa nostra è decisa a comprare pezzi di istituzioni e dall'altro intende schiacciare quelli che contrastano le strategie mafiose». E', la mafia, «un pericolo per la democrazia». Ma che cosa pensate di fare?, aveva domandato uno studente. E il procuratore ha risposto deciso: «Non che cosa "pensate", ma che cosa tutti noi "pensiamo" di fare, perché soltanto così, impegnandoci tutti, potremo vincere. Ma, attenzione, quali che siano le forme di criminalità da affrontare, si deve seguire sempre e comunque il rispetto delle regole. Sì, nel fare questo lavoro, come per tutti gli altri lavori, si possono affrontare i problemi burocraticamente, oppure cercare di capirli». Sì, è calata la tensione, negli ultimi tempi. Ma qualcosa è cambiato davvero, ora la gente di mafia parla, anche in Sicilia «dove prima delle stragi di Capaci e via D'Amelio non se ne parlava neppure all'inaugurazione degli anni giudiziari». Vincenzo Tessanduri Giancarlo Caselli e Luciano Violante