« Questa Roma adesso mi disgusta » di Raffaella Silipo
« Dopo la vittoria aveva detto: contro i burocrati porterò nel Palazzo l'efficienza « Questa Roma adesso mi disgusta » Silvio fugge ad Arcore: la capitale è ingannatrice I POTENTI E LA CITTA' ETERNA VIA via, vieni via di qui», canterebbe Paolo Conte. «Niente più ti lega a questi luoghi». Via via, via da «questa Roma capitale di intrighi e trabocchetti, che mi disgusta». Fugge ad Arcore, nei giorni più duri della sua carriera, Silvio Berlusconi. Fugge quella Roma su cui era sceso nemmeno un anno fa, con lombardo ottimismo. «La cambierò», diceva, come si dice di un'innamorata dal carattere difficile ma di fascino irresistibile. Invece la Città Eterna ha prevalso. E allora via, via da questi ozi di Capua, che rammolliscono pure i migliori, in vista della battaglia decisiva verso cui i politici (e vai a indovinare chi sono i punici e chi i romani) corrono a rotta di collo. Tutto cambia nella Capitale, da secoli. I luoghi, gli itinerari, i volti e i costumi dei potenti. Ma il passato lascia un'ombra strisciante, un ricordo beffardo di mille effimere conquiste. Da Brenno ai Goti, da Carlo Magno a Federico Barbarossa, da Napoleone alla breccia di Porta Pia. Fino al primo impatto dei piemontesi con la Capitale d'Italia, nel lontano 1870, così come lo raccontava Emilio Faldella: l'imbarazzo provinciale tra le antiche pietre, il tentativo di ricostruire la familiare planimetria torinese, i malintesi con i locali, i pranzi tentatori a Trastevere. Fino alla marcia su Roma di Mussolini, che sarebbe durato vent'anni, per poi fuggire al Nord, a morire. Tutti impantanati in quegli «intrighi», tutti ingannati dai seducenti trabocchetti di Roma millenaria. Berlusconi aveva immaginato da subito, che il rapporto con la Capitale non sarebbe stato facile. «Ma sarò sempre costretto a fare questa vita? - chiedeva appena insediatosi a Via dell'Anima -. Qui mi sento un disadattato». Solenne, pigra, barocca, la vecchia Roma lo accoglieva con l'arguzia scettica del lasciarsi vivere, con le battute di tassisti rassegnati al traffico e camerieri testimoni di migliaia di pranzi potenti. «Porterò nel Palazzo l'efficienza milanese, combatterò le lentezze burocratiche con lo spirito della libera impresa», prometteva il Cavaliere. E al suo seguito scendevano fiduciosi su Montecitorio giovani deputati in camicia azzurra e cravatta regimental. Per le truppe lombarde nell'anno del Signore 1994, il disagio si è tradotto in impazienza davanti ai percorsi tortuosi della politica: «Imporre a 600 persone questi tempi lunghissimi - diceva Berlusconi -, che naturalmente sono frutto di tradizioni antiche che rispetto, mi dà l'orticaria». Era venerdì 15 aprile, si votava per la presidenza della Camera, avrebbe vinto Irene Pivetti. E proprio a lei sarebbe toccato riprendere la prima scivolata di Berlusconi giunto in ritardo alla seduta, la prima piccola vittoria di Roma. Da milanese a milanese: «Signor presidente, mi permetta di esprimerle il mio stupore perchè essendo ella, come io stessa, di Milano, dovrebbe sapere che le sedute del Parlamento, così come gli spettacoli alla Scala, iniziano sempre puntuali». Portava fiera, Pivetti, il vessillo della capitale morale. Non dimentica del duro insegnamento di Bossi, all'indomani della prima discesa sulla Capitale dei «barbari» leghisti. «Non fatevi traviare dai ristorantini, dal ponentino, dai tramonti». Non fidatevi di Roma, ammoniva Bossi. Berlusconi, invece, si fidava. La città si schiudeva al suo passaggio, Via dell'Anima diventava un luogo della Roma potente, tappa abituale dei cronisti politici. Lui si trasferiva a Palazzo Chigi, lo faceva ristrutturare dal suo architetto di fiducia, come chi sa di durare a lungo. Addirittura progettava un trasloco, per rendere la conquista più completa. Poi, Roma, in fretta come gli si era concessa, gli si è negata. E non gli resta che fuggire da questa amante difficile, piena di «inganni e trabocchetti». «Ma echi ssò ste spie? - si chiedeva il Belli - Vall'a indovina. Oggni lingua oggidì cche nnun zii morta, po' esse un che tte cucina». Raffaella Silipo Il Cavaliere deluso da Roma A destra Gioacchino Belli
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