Manovra, il Senato rinvia

Manovro, il Senato rinvia Manovro, il Senato rinvia Da destra una valanga di emendamenti COLPO DI SCENA IN AULA E l'intoppo c'è stato sul cammino del decretone di Dini al Senato, anche prima che il Polo scagliasse il suo macigno contro l'approvazione della manovra. Come se nell'aula di Palazzo Madama si fosse avuto sentore della mossa che dopo qualche ora avrebbe scosso come un terremoto il tormentato percorso del governo e la schizofrenia dei mercati valutari internazionali. Perché la votazione in aula, prevista per il pomeriggio, si è allontanata d'improvviso fin dalla mattinata, sommersa dalla valanga di duecento emendamenti presentati dai senatori. Alla faccia della pressante richiesta del presidente del Consiglio al senso di responsabilità dei parlamentari perché limitasssero al massimo le richieste di modifica. Dunque nell'impossibilità di esaminare convenientemente quest'improvvisa ondata di emendamenti (più massiccia rispetto ai 125 già presentati in commissione Bilancio) la conferenza dei capi-gruppo ha deciso lo slittamento della votazione a martedì, così come annunciava il presidente Carlo Scognamiglio. «Un problema esclusivamente tecnico - si affrettavano a spiegare, ancora speranzosi, negli ambienti governativi - perché sono necessari accurati approfondimenti per tutti questi emendamenti». E lo stesso ministro delle Finanze, Augusto Fantozzi, an¬ cora fiducioso, affermava con tono comprensivo: «Le cose vanno bene, c'è spirito collaborativo. Ma anche i parlamentari hanno diritto a fare il week-end. Perciò è rinviato tutto a martedì, per discutere con tranquillità gli emendamenti». Ma il clima, invece, era cambiato rispetto alla sera precedente, quando la manovra filava sul velluto in commissione. Anche se alla fine, dopo qualche tentennamento, era sceso nell'arena lo stesso presidente del Consiglio, per disarmare il crescente malcontento dei suoi ex colleghi del Polo, aggiungendo il suo intervento alla replica che stava già svolgendo il suo ministro del Bilancio Rainer Masera. Dini, dunque, aveva rivolto un nuovo appello ai senatori per dare «subito un segnale chiaro e forte che dimostrasse la volontà di fronteggiare il pericolo» innescato dalla «tempesta valutaria, la debolezza della lira e le incertezze del quadro politico che stavano portando il Paese sull'orlo di una drammatica emergenza». «Non è questo il momento delle contrapposizioni» aveva detto il presidente del Consiglio invocando «una maggioranza di ampie dimensioni» per rafforzare la credibilità della manovra. E in questa direzione, Dini aveva preannunciato l'anticipo del documento di programmazione economico-finanziaria per il prossimo anno previsto per il 15 maggio, come sollecitato da Berlusconi. Ma poi le dichiarazioni più sfumate, meno vincolanti sulla delega per la riforma pensionistica reclamata dal Cavaliere e dai suoi alleati gelavano il Polo. E subito si increspava il mare delle delusioni, delle polemiche. Palombi (ccd) e La Loggia (f.I.) cominciavano a dire che si aspettavano «risposte più soddisfacenti». Maceratini preannunciava già l'astensio- ne di An. E l'ex ministro Previti sbuffando anticipava: «Dobbiamo ancora decidere cosa fare, ma il voto potrebbe slittare a martedì». Era il segnale. L'aula di Palazzo Madama faceva appena a tempo a votare gli emendamenti sui primi dieci articoli, rinviando però quello sulle assunzioni nel pubblico impiego, e a ratificare il blocco ai tagli programmati per Camera e Senato che la seduta veniva sospesa e poi rinviata. Il capogruppo del ppi, Mancino, si rammaricava perché avrebbe preferito approvare subito la manovra; Rifondazione comunista ribadiva, invece, il suo «no» reciso. Ma ormai i giochi erano fatti: arrivederci a martedì. E intanto alla Camera facevano quadrato progressisti, popolari, leghisti e pattisti impegnandosi a non presentare emendamenti per accelerare il cammino del decretone a Montecitorio, fra mercoledì e giovedì. Ma poi arrivava l'annuncio-terremoto del Polo a rimettere tutto in movimento, [p. pat.] L'esame finale rimandato a martedì Fantozzi minimizza: «Solo un ritardo i parlamentari fanno il week-end» Il presidente del Consiglio Lamberto Dini e, sotto, il ministro Fantozzi

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