Il Polo: faremo la resistenza di Augusto Minzolini
Il Polo: faremo la resistenza Il Polo: faremo la resistenza «Pronti a boicottare i lavori parlamentari» LA STRATEGIA DELLA DESTRA CROMA OME si fa a ribaltare un tavolo che ti vede irrimediabilmente sconfitto? Come si lancia una carica disperata? Come si convincono anche i seguaci più restii a seguirti? O, per dirla più semplicimente, come si dice di «no» alla manovra di Dini? Alle 15 di ieri, davanti ad un Fini che lo guardava negli occhi, Berlusconi lo ha l'atto in questo modo, usando queste parole e questi ragionamenti: «Abbiamo avuto una risposta vaga da Dini dal quale ci aspettavamo un impegno preciso. Abbiamo avuto le dichiarazioni dei capi delle sinistre, di D'Alema, di Berlinguer che vogliono cambiare l'attuale legge maggioritaria: il che vuol dire votare fra un anno e far fuori noi che siamo nati grazie al voto del 27 marzo. Poi, abbiamo avuto tutta una serie di voci che hanno confermato inequivocabilmente che il Quirinale e Palazzo Chigi non vogliono darci le elezioni a giugno, ma vogliono oltrepassare l'estate. La verità è che ci stanno prendendo in giro. Di questo possiamo essere sicuri. E visto che non possiamo l'arci logorare, l'unica possibilità che abbiamo è votare contro la manovra. Perché un fatto è chiaro: a quelli degli interessi del Paese non importa proprio niente, a quelli interessa far fuori me. Ma è una cosa che riguarda tutti noi, non solo me. La battaglia per ridare questo Paese alla democrazia dobbiamo farla insieme. E se non basterà votare contro la manovra, boicotteremo i lavori parlamentari in ogni modo e, se sarà necessario, lasceremo anche le commissioni e l'Aula del Parlamento. Se sarà necessario daremo vita ad una resistenza per riconquistare la democrazia». Con queste parole Silvio Berlusconi si è lanciato nell'ultima carica, con questo discorsetto ha deciso di giocare senza rete. «E' una scelta obbligata, non ne abbiamo un'altra», ha ripetuto a tutti quelli che sono andati a trovarlo dopo che Dini aveva mandato deluse le aspettative dell'exmaggioranza nel discorso al Senato. Al mattino davanti a Previti, Grillo, Sacconi, il Cavaliere ha avuto un mezzo sfogo contro il capo del governo. «Perché Dini ha tenuto questo atteggiamento? Bisognerebbe chiederlo a lui. Ero stato molto aperto in questi tempi, molto disponibile, non capisco. O meglio, posso immaginarmelo: è troppo condizionato dalla maggioranza che gli ha dato i voti. Si è fatto intrappolare dalla ragnatela del pds e non è riuscito a sganciarsi». E via con l'elenco delle occasioni perdute dal suo ex ministro del Tesoro: dalla possibilità di condurre in porto un provvedimento complesso e difficile come la riforma delle pensioni, con il quale si erano scontrati per anni tanti uomini di governo senza venirne a capo; alla «promessa delle promesse», quella che negli ultimi giorni più di una volta Berlusconi aveva balenato nei discorsi fatti con l'attuale premier: dopo le elezioni, se avesse vinto il centro-destra, a Palazzo Chigi a certe condizioni sarebbe potuto rimanere Dini. Invece, tutto a monte. Così ieri mattina davanti a Previti e Grillo il Cavaliere ha preso la grande decisione: «A questo punto non abbiamo nulla da perdere. Come avevamo ipotizzato nei giorni scorsi, votiamo contro la manovra e, poi, si vede». Insomma, il Cavaliere ha suonato l'ultima carica, fedele al motto «o la va o 1 spacca». Berlusconi ha deciso una di quelle cose che piacciono tanto a Previti, la stessa mossa che l'ex ministro della Difesa aveva preannunciato la settimana scorsa. E, infatti, quando è uscito da via dell'Anima a Previti brillavano gli occhi: «Beh - si è lasciato andare -, io l'avevo detto, questo è l'unico modo». Presa la decisione, il Cavaliere ha fatto fronte al compito più dif- ficile, quello di portarsi dietro gli alleati, anche i più riottosi. Nel pomeriggio ha convocato un «vertice» del Polo a via Dell'Anima, ma soprattutto è andato a vedere le reali intenzioni di Fini. E, sorpresa, ha capito che aveva ragione Giuliano Ferarra, che si è ritagliato un ruolo di «consulente» personale. «Fini - aveva spiegato l'ex ministro - può essere anche sensibile all'idea di portare a compimento il suo processo di legittimazione non attraverso Berlusconi, ma, diciamo, sopra Berlusconi. Ma quella è una sensibilità, non una linea politica. Alla fine ti seguirà». E così è stato. I due hanno parlato a lungo, Fini ha tentato di convincere Berlusconi a non votare contro la manovra, a trovare qualche mossa alternativa. Berlusconi è stato irremmovibile e il presidente di An alla fine ha ceduto. «Gianfranco - ha spiegato poi Francesco D'Onofrio - sa che ha ancora molto tempo davanti e, contemporaneamente, sa che Berlusconi ha solo questa "chance". Se si vota a giugno il nostro schieramento tiene, altrimenti è tutto da vedere. Ed ancora: Fini sa che se cade Berlusconi adesso, cadiamo tutti. In più, ultima cosa, sa che deve molto a Berlusconi». «Tutti - ha spiegato Alberto Michelini, presente all'incontro abbiamo capito che vogliono far fuori Silvio. E siamo convinti che se viene meno lui, il polo rischia di disintegrarsi». Per questo la decisione di Berlusconi alla fine è diventata quella di tutti. Il Cavaliere ha parlato - per convincere i suoi - di grandi mobilitazioni (il 26 marzo ci sarà una manifestazione a piazza del Popolo), e ha annunciato altre iniziative oltre al «no» alla manovra. Né è tornato indietro, quando Fini gli ha fatto presente che lo avrebbero accusato di «irresponsabilità»: «Diremo che l'unico irresponsabile è Scalfaro, è lui che non vuole le elezioni. E agli altri diremo che debbono vergognarsi. Loro hanno provocato questa situazione, la responsabilità è solo loro. Noi con la proposta di fare insieme manovra e pensioni abbiamo dato un'ulteriore prova della nostra apertura, purché questa situazione grave di democrazia ferita, di democrazia rovesciata, di una minoranza che impone il suo volere ad una maggioranza a seguito di una manovra di palazzo, fosse eliminata con le elezioni e con un governo di legislatura, e invece, niente, ci hanno preso in giro. Ora basta». Dopo aver sparato Berlusconi è rimasto ad attendere. Letta ha mantenuto un canale di comunicazione con un Capo dello Stato infuriato e un presidente del Consiglio perplesso. A sera gli è arrivato un primo segnale dì ostilità: un avviso di garanzia per corruzione per una vecchia storia. «Questa - è stato il suo commento - è una barzelletta. Io conoscevo questa vicenda da tre mesi: non c'entro assolutamente nulla. Che sia uscita oggi è sintomatico della lotta politica che c'è in Italia, sono le cose che vengono usate». A sera, infine, gli hanno portato nel salotto bianco di via dell'Anima l'appello di Lamberto Dini. Silvio Berlusconi lo ha letto e liquidato in poche parole. «C'è poco da parlare - ha tagliato corto il tracciato è molto semplice. E' fare quelle poche cose che si possono fare e andare dritti alle elezioni. Non c'è un arabesco, c'è una linea retta. L'interesse del Paese è una linea retta che parte da qui e va al nuovo governo dopo il voto». Augusto Minzolini «Non abbiamo altra scelta Lamberto si è fatto intrappolare nella rete del pds e non riesce più a sganciarsi»
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