Giulio: un processo ingiusto

Giulio: un processo ingiusto Giulio: un processo ingiusto «Lo affronto amareggiato dopo 2 anni di attesa» LA REAZIONE DEL SENATORE ritenevano ingiusta. E di sorpresa, nel senso che fino all'ultimo Andreotti ha davvero creduto che potesse finire diversamente, parlano coloro che gli sono stati vicini in quest'ultimo periodo. Dopo il pranzo a casa e il riposo pomeridiano - rivelato dal «piantone» che sorveglia l'abitazione -, il senatore arriva a palazzo Giustiniani alle 16,15, a bordo della Thema grigia che entra fin nel cortile del palazzo. Da sotto il cappotto spunta la solita sciarpa bianca, sotto il braccio una sola cartellina, bianca anche questa, con l'intestazione «Posta». Senatore, quand'è che possiamo parlarle? «Domani». Ma la decisione del gip di Palermo è prevista per oggi, entro poche ore. «Ma io qui sono venuto a fare il senatore. Arrivederci». Un ascensore inghiotte Andreotti e le sue guardie del corpo. Chi l'ha visto in mattinata continua a ripetere che, nono¬ stante tutto, Andreotti è tranquillo. «Anche se certamente è provato», dice l'ex senatore Giorgio Moschetti, fino a qualche anno fa segretario amministrativo della de romana, plurinquisito nelle inchieste su Tangentopoli. Moschetti ha incontrato l'ex presidente del Consiglio verso mezzogiorno. «Sì racconta Moschetti -, e credo che dopo abbia visto un cardinale americano. Io gli ho parlato solo per qualche minuto, in realtà ho accompagnato da lui un suo veccho amico straniero, che passava da Roma e voleva salutarlo». Chi era l'amico, Moschetti non lo dice. «E' di un Paese dell'Est europeo». Hanno parlato anche dell'accusa di mafia? «Che io sappia no, s'erano già incontrati quattro o cinque mesi fa, forse ne avranno discusso allora. Se si aspettava il rinvio a giudizio? Penso di no, anche se oggi bisogna attendersi di tutto; lo so io, con quello che sto passando...». Prima di questo incontro - da bravo senatore, e come se questo fosse davvero un giorno come gli altri -, Andreotti è andato alla commissione Esteri, dove si doveva eleggere un nuovo vicepresidente. Come tutti gli altri, ha votato per Rino Serri, di Rifondazione comunista, designato all'unanimità. E sempre da bravo senatore, nel pomeriggio (ma prima che il gip comunicasse la sua decisione), compare a palazzo Madama per mettere la firma sul registro delle presenze e dare um'occhiata in aula, dove si discute il decreto del governo sulla manovra economica. Poi sparisce. Quando arriva la notizia che dovrà salire sul banco degli imputati a Palermo scrive quelle poche righe, e niente più. Le segretarie di palazzo Giustiniani continuano a ripetere che è in aula, ma Andreotti in aula non c'è. Nei corridoi del Senato, si comincia a parlare di lui e del «L'unico vantaggio del dibattito pubblico è che i testimoni possono essere controinterrogati» suo destino giudiziario. Giovanni Pellegrino, il presidente della commissione Stragi e presidente, due anni fa, della Giunta per le autorizzazioni a procedere che diede il via libera all'inchiesta palermitana, commenta: «Quando l'ho visto, gli ho detto che sul problema della competenza, cioè sul rinvio a Roma o al tribunale dei ministri, si poteva anche discutere. Ma al rinvio a giudizio, sinceramente, credo che non ci fossero alterna¬ tive. Con gli elementi che ci secondo me non si può cor nare, ma nemmeno archivii Poco più in là, ecco Fi Zeffirelli, il regista senato Forza Italia che la butta su turale: «E' una storia assi un'altra tragicommedia. C sco Andreotti come uomo d tura e di governo, e non t che possa essere caduto in trappole nelle quali non cai be neanche un illetterato» dreotti continua a rimi

Luoghi citati: Palermo, Roma