Tg3: sfiducia alla Brancati di Maria Grazia BruzzoneAndrea Barbato
Dopo Mimun e Rossella, redattori in rivolta anche alla Terza Rete: «Si è rotto il patto fra lei e noi» Dopo Mimun e Rossella, redattori in rivolta anche alla Terza Rete: «Si è rotto il patto fra lei e noi» Tg3: sfiducia alla Bramati «58 no, 13 sì: siamo allo sfascio» ROMA. Finalmente la scatola dnlla carta por fotocopio che da una settimana funge da urna, viene squarciata da un paio di robuste forbici. Giorgio Chiocchi, figura storica del Tg3, che oggi ne firma uno dei fiori all'occhiello «Una cronaca italiana» comincia a contare le schede, la testa bianca china fino quasi a toccare i fogli. «Si, Si, Bianca, No, Si, No, No» annuncia chino sulle schede, poi passa a Onofrio Pirrotta che ripete la conta, mentre un redattore segna su un foglio le croci. Nello stanzone degli esteri si finge indifferenza. Raffaele Fichera è incollato al telefono, poi se ne esce con Daniela Vcrgara. Mimmo Liguoro scherza «1 No sono tutti in fondo, sono quelli che hanno votato per primi». Massimo Lochc scambia battute coi colleghi carezzandosi il barbone. C'è persino Antonio Di Bella, arrivato fresco fresco da New York per l'occasione. Entra Bianca Berlinguer, già truccata da scena, con una giacca chiara in mano, nel cellophan. «Allora, ci siamo?». E in quel momento arriva il verdetto atteso. «58 No, 13 Si, 9 bianche, 3 nulle. Hanno votato in 83, su 97 aventi diritto». Così la sfiducia ha bussato anche alla porta del non più mitico Telekabu), l'ex-glorioso Tg3. Dopo Mimun, che ormai di sfiducie ne raccoglie una alla settimana, dopo Rossella, ora tocca a Daniela Brancati, il direttore del dopoCurzi e del dopo-Giubilo, «la di¬ rettrice» come la chiama qualcuno facendola arrabbiare, o addirittura «la direttora». Un risultato, atteso, scontato dopo l'assemblea di una settimana fa. Dopo la proposta del vice Corradino Mineo di andare al voto. «Se vinco io però te ne vai» raccontano che gli avrebbe detto Brancati. Che adesso tiene trequarti d'oia il presidente del seggio Chiocchi ad aspettare fuori dalla porta per comunicarle l'esito del voto. E poi ostenta il migliore dei suoi sorrisi. «Come la prendo? Cosi», risponde sedendosi alla grande scrivania dello studio di pelle nera (scelta di Curzi, mai modificata) mentre Moretti e Scottemi l'affiancano per la riunione di sommario. Mineo è malato. «Ma basta contare i voti per vedere che lo scontento va ben oltre i 30 kabulisti storici del suo gruppo» spiega V'irrotta. E tutti sembrano d'accordo sul fatto che il dissenso non è nemmeno politico ma tecnico-professionale. «Il patto si è rotto, come un matrimonio che si spezza», infioretta Pirrotta. «Si è spezzato il grande equivoco che all'inizio aveva portato alla fiducia». «Certo - aggiunge un caporedattore più maligno degli altri quando i vice ne capiscono più di politica del direttore, gli attriti non possono mancare...». Non che giravolte politiche non ne abbia fatte, la direttrice. Racconta Loche: «E' arrivata spingendo verso la moderazione, poi, quando il vento è cambiato, ha cominciato ad alzare la cresta, mostrarsi in video, polemizzare persino con Berlusconi». Ma non è neppure questa la causa del malcontento. «Il patto sembrava quello di mantenere l'identità del Tg3, lasciare gli stessi vicedirettori, rinnovare e allargare gli spazi». Invece i vice. Moretti, Mineo e Galantini, sono rimasti, ma contano meno di prima. Raccontano in tanti: «Lei spesso non c'è, gira per convegni, piomba all'ultimo e disfa il lavoro fatto, spesso senza vere ragioni. Gli ospiti in studio poi, che sono una nostra caratteristica, prima erano legati all'attualità. Ora li decide lei giorni prima, c'ò quasi un calendario. E dobbiamo arrampicarci sugli specchi per giustificarne la presenza». Un direttore che non dirige, vice di fatto esautorati. Una squadra allo sbando. Accuse pesanti. Ma non basta. Racconta il redattore capo centrale Scottoni: «Aveva affidato a Mineo e a me il progetto di ristrutturare l'edizione delle 7. Ma da settimane non trova il tempo per discuterne. Non si decide niente. E lo stesso accade per gli altri progetti, dello 22,30 e delle 12». Chiecchi fa un'ipotesi. «Non contratta gli spazi con la rete, che del resto non ha più linea. E non sa farsi valere con la direzione generale. E forse - conclude - questo voto sarà un segnale utile, una scossa salutare». Maria Grazia Bruzzone Pirrotta: non è solo la rivolta dei «kabulisti» Andrea Barbato e Daniela Brancati direttore del Tg3
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