Chi parla al muro di Lietta Tornabuoni

Chiparla al muro Chiparla al muro TARE a sentire-vedere i talk show a cui partecipano Berlusconi e i suoi amici o alleati è ormai un esercizio del tutto inutile, anche piuttosto impressionante. Si parla dei talk show trasmessi dalla Rai, naturalmente: sulle reti Fininvest è raro che i padroni di casa si confrontino con qualcuno, quasi sempre si esibiscono senza limiti di tempo e in splendida solitudine nelle forme più indisturbate, conferenza-stampa priva di domande scomode, videocomunicato, videoreazione o videoreplica, allocuzione d'emergenza, messaggio alla Nazione, invettiva d'occasione, predica infiammata, ultimatum e via parlando. All'inizio della sua vita politica militante, Berlusconi sembrava temere dibattiti, confronti, polemiche, contestazioni, e badava a esser l'unico sul teleschermo. Adesso è un poco cambiato, e come lui sono mutati i suoi. Adesso lo stile è più o meno questo: accettano di conversare con diversi interlocutori, arrivano ben vestiti e sorridenti, salutano affabilmente, si mettono a sedere e, qualunque sia l'andamento che il discorso assume, qualunque idea gli altri esprimano, quali che siano gli interrogativi del conduttore-mediatore, quale che sia l'atmosfera dell'incontro, dicono sempre e soltanto, sorridenti, la stessa cosa, gli stessi slogan, le stesse parole. Come se gli altri non esistessero, come se nessun pensiero o obiezione altrui potesse avere la minima importanza, come se lo scopo fosse soltanto quello di utilizzare ai propri fini il microfono del momento o lo spazio aperto: ripetono il proprio verso, e basta. Non è uno stile nuovo. Lo si è visto adottare in tanti casi: da certi scrittori o registi ben decisi ad approfittare ossessivamente dell'occasione per promuovere il proprio libro o film, da Pannella e dai suoi, dagli estremisti di sinistra nei Settanta, da certi portavoce di Comunione e Liberazione o dell'estremismo islamico. E' sempre stato lo stile dei dogmatici, dei portatori di pubblicità per se stessi, dei fanatici, di chi è senza dubbi, di chi partecipa a un dibattito non per rendersi conto delle opinioni altrui ma per imporre le proprie, di chi non si metterà mai in ^liscussione ed ha troppa di- sistima pregiudiziale verso coloro che la pensano diversamente per credere nel dialogo. Talk show del genere risultano quindi inesistenti come palestra delle idee, molto noiosi come politicaspettacolo, piuttosto scoraggianti: di fronte alla ripetizione di asserzioni apodittiche e monocordi, alla sensazione che gli altri interlocutori parlino al muro e funzionino da comparse d'un teatrino strumentale se non da fantasmi irrilevanti, che fare, come reagire, come resistere alla tentazione sbagliata offerta dal telecomando di chiudere, spegnere, annullare, passare ad altro? Se può essere questo lo stato d'animo d'uno spettatore, figuriamoci quello dei partecipanti al finto dibattito. Trovarsi in simili condizioni è anche umiliante, una mortificazione: tranne che, naturalmente, lo stesso stile non venga adottato da tutti i presenti, e ribattezzato «par condicio». DI PIÙ' C'è qualcosa di abbastanza odioso nel modo inatteso, improvviso e ineluttabile in cui siamo venuti a sapere che, oltre tutto il resto, oltre la stangata e gli aumenti di prezzo striscianti che essa comporterà, pure le sigarette e i viaggi in treno costeranno di più, e non di poco. Erano in passato aumenti sui quali si esitava e discuteva per mesi e che venivano commentati aspramente come segni di faciloneria iterativa, di indifferenza verso i consumi popolari, di stimolo colpevole all'inflazione. Stavolta passano come niente, senza spiegazioni, senza qualche bugia sugli utili impieghi dei soldi ricavati dagli aumenti, senza neanche uno «scusi», un «purtroppo», uno «stato di bisogno». Brutto segno, quando neppure l'ipocrisia sembra più necessaria. Lietta Tornabuoni

Persone citate: Berlusconi, Pannella