Montale, il loggionista di Sandro Cappelletto

DISCUSSIONE* Tornano le sue recensioni: ma un grande poeta può anche essere un bupn critico? DISCUSSIONE* Tornano le sue recensioni: ma un grande poeta può anche essere un bupn critico? Montale, il loggionista I giudizi di un buon borghese alla Scala PROTAGONISTA assidua nei suoi versi, passione che non si appagava mai, la musica è stata compagna di vita per Eugenio Montale. Dopo avere privatamente studiato da baritono, per oltre un decennio fu il critico musicale del Corriere d'Informazione e destinò al Corriere della Sera una non breve serie di «ritratti» di musicisti contemporanei. Quelle centinaia di pagine, pubblicate da Arnoldo Mondadori nel 1961 e diventate presto introvabili, vengono ora riproposte, senza variazioni né aggiunte e con lo stesso titolo - Prime alla Scala - da Leonardo Editore. Il libro, curato da Gianfranco Lavezzi, offre una scelta molto ampia degli spettacoli recensiti tra il 1954 e il 1967, negli anni grandi del teatro milanese, dell'arrivo in Italia delle avanguardie musicali, della nascita del Festival di Spoleto. La preferenza del poeta va, senza ombra di dubbio, al melodramma. I suoi amori musicali sono sfrenati e li asseconda senza pudore: venera la «cattiva musica», perché «il suo ambiente non è mai prevedibile, potendo essere il teatro di provincia, il caffè, il baraccone, la nostra stessa stanza invasa dalle onde hertziane o dal canto notturno di un ubriaco». Gli piace la voce di Di Stefano, forte e felice, ma i suoni filati di Toti Dal Monte sono madreperla, balsamo fresco come la luce della luna. Non apparteneva ad alcuna corrente organizzata del mondo musicale e si concedeva vetrioleggiami divertissement, come quando descrive, nel 1961, «un centinaio di peoni in ciabatte... la quintessenza più squisita dell'intelligenza mondana», invitati ad un ricevimento offerto dal Comune di Venezia per la prima della Carriera di un libertino di Stravinskij: sul podio della Fenice il maestro «sembra Benedetto Croce curvo su un vecchio codice. Come lui d'altronde appartiene al passato, a un grande passato». Gentile nelle stroncature, competente, informato e preoccupato di informare, moderatamente fiducioso sulle sorti della «musica del futuro», evita una descrizione soltanto tecnica e non rinuncia mai al gusto del racconto: certe immagini - «le fiammelle di accendisigari dalle vuote occhiaie dei battifredi» - si stagliano con la stessa potenza dei versi. E il critico concede alla volontà e al carisma degli artisti, da Toscanini a Menotti, fiducia e entusiasmi che raramente il poeta lascia trapelare. Ma l'ascolto è anche piacere fisico, il suono evoca immagini e persone: non per caso chiama Accordi (Sensi e fantasmi di una adolescente) una raccolta di liriche, dedicata ciascuna ad uno strumento. Una di queste, Corno inglese, figurerà in Ossi di seppia. Talvolta si abbandona all'enfasi: nella sua prima recensione, scritta nel 1916 per II Piccolo di Genova, giudica degna una «nuova produzione patriottica» di Leoncavallo, quel Mameli oggi del tutto dimenticato. Protagonista, «la bella figura del patriota, dolce ricordo dell'italico aprile». L'autore di Primavera hitleriana aveva ventun anni, e si firmava con lo pseudonimo, Vittorio Guerriero. Sandro Cappelletto pla FMdRaFFfNgpc[ndsbBdVcrRcdzcmrA

Luoghi citati: Comune Di Venezia, Genova, Italia, Spoleto