E L'italia come Soriano si giocò a poker le illusioni di Osvaldo Soriano

E L'italia come Soriano si giocò a poker le illusioni B A R N U M LO SPETTACOLO DELLA SETTIMANA E L'italia come Soriano si giocò a poker le illusioni UN libro benissimo l'ha scritto Osvaldo Soriano. Cioè, ne ha scritti due, libri bellissimi, ma adesso quello che ho in testa è uno, e si intitola Un'ombra ben presto sarai (in spagnolo suona che è una musica: Una sombra ya pronto seràs). L'ha ristampato qualche mese fa Einaudi. Tredicimila lire. E' un buon prezzo per quattro ore buone di strepitosa poesia. Succede tutto in qualche sperduta piega della Pampa argentina, su e giù per strade stradoni stradine che non portano da nessuna parte, e paesi fantasma, e chilometri di erba e nulla. Un mondo altrove. Se lo fanno, avanti e indietro, i quattro o cinque protagonisti, tutti con una meta precisissima in testa, tutti inesorabilmente dispersi. Gente con la disfatta prestampata nel destino, ma anche con un ottimismo inossidabile, e una fantasia che non stacca mai, vietato alzare il piede dall'acceleratore, la vita è ovunque, la morte non sai cos'è. Gente così. Ne fanno di tutti i colori: ma una, in particolare una, mi è rimasta in testa. Perché è bellissima. Sono talmente al verde, tutti quanti, sempre, che quando si mettono a giocare a carte non hanno una lira da puntare. Altri, magari, lascerebbero perdere. Ma quelli, l'ho detto, non si arrendono facilmente alla miseria. E allora giocano, a non so che gioco argentino, non si capisce, ma dev'essere una specie di poker, insomma giocano: e invece che denaro, si giocano i ricordi. I ricordi. Uno di fronte all'altro, con le carte in mano, la sigaretta tra le labbra. Studiano le carte, poi uno punta. Punta alto, magari ha un full, roba del genere: - Una volta mi sono innamorato in maniera disperata. - Si sarebbe ucciso per lei? - Mi vede, sono ancora qui. - Allora deve tirare fuori qualcosa di meglio. Lanciano, rilanciano, vedono a colpi di ricordi. Chi perde, perde il ricordo. A furia di giocare, e di perdere, fatalmente finiscono per rimanere a corto di ricordi. Se ne tengono stretti un paio, meravigliosi, per la volta che gli capiterà un poker servito, e nell'attesa raschiano il fondo della memoria: - Mi rimane, se le sembra il caso, una ragazza di Chabut. Non era bella e non è venuta a letto, non si illuda. - E' già qualcosa. E giù a giocare. Soriano dice che all'inizio si giocavano le illusioni. Ma le hanno finite in fretta. Allora sono passati ai ricordi. A me questa storia è tornata in mente quando ho letto dei 18 milioni di italiani inchiodati davanti al televisore, a bersi Sanremo. Non che l'Auditel abbia a che fare con la realtà, ma è una di quelle favole che si è deciso di credere vere: tipo l'immacolata concezione, o il fatto che latte e rum faccia bene alla gola, o che le macchine tedesche non si spaccano mai. Mica che ci sia qualcosa di vero, ma facilita un po' le cose crederci, e così ci si crede. 18 milioni di italiani, quella sera, non avevano niente di meglio da lare che guardare Sanremo. A me, questo colpisce. Colpisce questa collettiva, enorme, improvvisa incapacità di desiderare, di immaginarsi, di inventare. Metà del Paese soffre di anemia di desiderio. E' la stessa cosa che mi viene in mente quando vedo la sinistra eccitarsi per Prodi, i bergamasclù dare di matto per una microutopia come il federalismo, e una fettona di Italia depositare tutta la speranza di cui è capace nella desolante prospettiva di un nuovo miracolo italiano. Tutte cose rispettabili. Ma brodini. I desideri, come me li ricordo io, non erano un'altra cosa? Non erano qualcosa di irresistibile? Cosa diavolo è successo perché questo Paese smarrisse la capacità e la voglia di desiderare desideri come si deve? Adesso so cos'è successo. Mi vedo la scena. L'Italia seduta al tavolo, con le carte in mano e la sigaretta in bocca. Silenzio intomo, luci basse. Soldi non ce n'è. Si gioca puntando illusioni, speranze, desideri. Roba forte. L'Italia sgrana le carte tra le dita. Cambia due carte. Posa la sigaretta. Scopre le due carte lentamente, facendole scivolare sotto le altre, tra le dita. Full. Full di re. Cerca di non muovere un muscolo. Fa passare qualche istante. Poi dice piano ma con grande fermezza: punto tutto, illusioni, speranze e desideri. Non so chi c'era dall'altra parte del tavolo. Ma so che disse: vedo. E tirò giù le carte. Full. D'assi, però. Poi la sera, l'Italia se n'è tornata a casa. E lo si può anche capire: non le rimaneva molto altro da fare: accese la tivù. - Cosa c'è stasera? - Sanremo. - E' già qualcosa. Alessandro Baricco Roba forte, perse tutto con un full E allora per consolarsi guardò Sanremo

Persone citate: Alessandro Baricco, Einaudi, Full, Prodi, Soriano

Luoghi citati: Italia, Sanremo