Cerciello «Un altro no alla libertà» di F. Poi.

Cerciello Cerciello Un altro no alla libertà BRESCIA. Ancora un «no» alla scarcerazione del generale delle Fiamme Giallo Giuseppe Cerciello. Lo ha deciso la Cassazione che ha respinto un'istanza del militare che nega ogni addebito sin dal momento del suo arresto, nel luglio scorso. Il «no» della Suprema Corte arriva a soli tre giorni dal «no» pronunciato dai giudici del tribunale di Brescia, davanti ai quali Cerciello devo rispondere di corruzione per le tangenti pagate da varie aziende in cambio di un ammorbidimento nei controlli fiscali. Ma Cerciello non si arrende. E attraverso il suo legale, l'avvocato Carlo Taormina, ha presentato duo nuove istanze a Brescia: un appello all'ordinanza di sabato e un nuovo ricorso. Spiega l'avvocato: «Cerciello è in carcere da otto mesi e non può cambiare linea difensiva. Il dramma di Cerciello è che non ha pane da dare in pasto a nessuno». Tutto, danno tutto invece i primi ufficiali delle fiamme gialle sentiti durante l'udienza di ieri. Ammettono inmbarazzati, si scusano, pasticciano con lo parole in un magro tentativo di sminuire le loro colpe, fatte di pacchettini con 10 o 12 milioni intascati davanti alla stazione Centrale di Milano, a pochi passi dal comando della guardia di finanza. Inizia così, il maresciallo Umberto Scatorza: «Quando il capopattuglia, il maresciallo Ballerini, mi consegnò quei soldi rimasi stupito. Mi spiegò che era una regalia per il nostro buon comportamento». Va avanti, Scatorza, con le parole sofferte e le pause misurate: «Guardi, presidente, ho sbagliato. Mi rendo conto purtroppo. Non ho mai ceduto neppure alle lusinghe del contrabbando quando ero in servizio al confine svizzero e trascorrevo molte notti nel sacco a pelo su per le montagne». Non uh dubbio, non un pentimento al momento di intascare i soldi. 0, come nel caso di una verifica alla Sony Italia, un lettore por compact disc e un ed. «Fu il maresciallo Ballerini a rassicurarmi», ricorda il sottufficiale. E aggiungo: «Mi disse: "Non hai chiesto nulla. Non c'è nulla di illegale. Questa era una regalia per il comportamento avuto". E io pensai che quel regalo ci venne dato perché eravamo stati precisi e veloci». Mai un sospetto, allora, che si trattasse di tangenti. «Anche se ripete Scatorza - sin dai tempi della scuola allievi sottufficiali ci mettevano in guardia di non accettare niente. Ed era il 1960». Ammette, conferma, confessa pure Rocco Giacquinto, militare di pattuglia insieme al maresciallo Scatorza. E' lui che fa l'elenco delle aziende da cui ha ricevuto «regali» sotto forma di biglietti da centomila: Gemina, Fin-Brescia, Lovale, Chateau d'Aux, Acros e Sony che pagava con sofisticate apparecchiature elettroniche. Nega Giacquinto di aver preso soldi dalla Mondadori. A lui non è finita nemmeno una briciola di quei 130 milioni pagati dalla casa editrice di Silvio Berlusconi. E nega pure di conoscere sia Salvatore Sciascia, responsabile del servizio fiscale Fininvest, sia Franco Tato, allora amministratore delegato. Prima dei militari è stato sentito un imprenditore, Sergio Formenti, accusato di aver versato 60 milioni alle fiamme gialle per addolcire i controlli nell'azienda Zoia, per oltre 40 giorni nel mirino della Guardia di finanza, [f. poi.]

Luoghi citati: Brescia, Milano