ONOFRI SFIDA GLI SQUALI di Bruno Quaranta

ONOFRI SFIDA GLI SQUALI ONOFRI SFIDA GLI SQUALI Noir tra Las Vegas e le borgate EA ROMA ^ uno scrittore S anomalo, Sandro Onofri. Cammina da solo, da solo si sceglie le sfide, le perde e le vince, mai truccando le carte. Così nel romanzo d'esordio, Luce del Nord (1991). Così, ora, nella seconda prova, Colpa di nessuno (Theoria, pp. 201, L. 24.000). Due storie fra l'America e Roma. Anche se in quest'ultima il soggiorno oltreoceano è più breve, il tempo per Paolo di conoscere, «come in un film degli anni Quaranta», Laura, tenutaria d'un bordello, e di assecondarne l'improvvisa voglia di tornare a casa, all'ombra del Cupolone. «Perché l'America? Simboleggia il bisogno di sprovincializzarsi della mia generazione: un obiettivo mancato, insieme, a calamitarmi, è il paesaggio, come eco dell'anima. Nel caso, il deserto che si allarga usciti da Las Vegas, dai casinò». Onofri insegna a Rieti, in un istituto tecnico, ha trentanove anni, è romano, allunga le radici nella Magliana, borgata regina, un cuore del sottoproletariato che inchiostrò le pagine pasoliniane. «Ma quel mondo è stato travolto. E non da oggi. Il consumismo, il Far West che è, ha fatto terra bruciata di valori, utopie, galatei. L'omologazione annunciata dal poeta è accaduta. Salò - metafora della complicità fra vittima e carnefice - lo dimostra». Paolo e Laura, attraversato l'Atlantico, approdati a Roma, hanno un figlio, Davide. Di lì a non molto la coppia si sgretola, complice la tenebra che assilla la donna. Una crisi che sfocia nel mistero: lei viene assassinata. Da chi? Dal compagno? Lui stesso lo teme. Una sera, dopo averla picchiata, è fuggito, credendo fosse successo l'irreparabile. Ad «assolverlo» sarà il ritrovamento del cadavere: non sul barcone-alcova (qui Laura riceveva l'amante, qui Paolo sfogò la rabbia), ma sul ponte vicino. Un «giallo», dunque. Un genere che rispunta con vigore, dal feltrinelliano Raul Montanari agli einaudiani Edoardo Angelino e Salvatore Mannuzzu: «E' la rivincita della voglia di narrare - osserva Sandro Onofri -. Una reazione alla dittatura della neoavanguardia, fortissima fino a ieri l'altro». Lentamente, opperò inesorabilmente, la letteratura abbandona il linguaggio cifrato, abbatte il muro dell'incomunicabilità. E poco importa se corre il rischio d'essere bollata come nazionalpopolare. E' l'anima gramsciana che detta a Onofri, in Colpa di Sandro Onofr Sandro Onofri nessuno, il j'accuse contro l'intellighenzia salottiera, sterile: «Gli artisti sono come l'ortica. L'ortica dove si infila spacca i muri. Gli artisti spaccano i quartieri. Tutti i quartieri di Roma hanno cominciato a morire quando sono arrivati gli artisti, gli intellettuali. Gli artisti sono l'avanguardia chic dello sradicamento, le prime gocce dell'invasione». Onofri non si balocca con i giochi di parole, non inanella frottole. Impavido, si cala negli inferni quotidiani, affronta i «grovigli di vite». La sua Roma, un po' Portuense, un po' Trullo, come le vedute americane ò a immagine e somiglianza di chi la abita. Sterpaglia, polvere, vetri rotti, binari arrugginiti... Un pianeta corroso, fetido, carialo. Il padre di Paolo, un macellaio, un uomo con due tuorli, è l'estremo custode dell'antica, smarrita civiltà: «Ha un'enorme forza morale, risorsa sconosciuta al figlio, che sbarca il lunario fregando la povera gente, dirottandone i rispanni verso fondi d'investimento di nessun futuro. Paolo non esita a umiliarlo: "Tu sci rimasto ai tempi in cui la povertà andava rispettata. Oggi, su sei povero, sei niente. E' lotta aperta. O stai di qua, o stai di là"». Nuota in mezzo agli squali, Sandro Onofri. Un occhio alla vicenda «gialla», uno sguardo, mai estetizzante, talvolta rapito, alle violenze che vi esplodono intorno. Ce la scuola devastata dai genitori che non vogliono in classe i figli degli immigrati africani. C'è il pittore albanese aggredito, linciato, cosparso di benzina e incendiato. C'è l'ammainabandiera: «E' diventato brutto, il popolo». Le braccia oneste, i fazzoletti e i grembiuli odoranti di bucato, i cappelli fieri di Polizza da Volpedo sono carte d'identità remote, stracciate. Oggi, a dominare, sono «facce, culi, pance trucide». Che fare? Paolo non ha dubbi: soggiacere per non capitolare. «Sputazzo del passato» quale si sente, «scommette» sul figlio: «Lo educherò come la piazza e i suoi abitanti vogliono. Devono essere contenti di lui. Addestrato non ai miei errori ma, per sua felicità, ai loro orrori, imparerà le cento facce dell'opportunismo. Io sporo che un boato carico di odio lo accompagni sempre...». Sandro Onofri - è lotta aperta - gli oppone, lucido, disperato (disperataniente Lucido) l'odio che Gramsci tributava agli «indifferenti, perché mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti». E' colpa di nessuno, e, quindi, e colpa di tutti se le cose vanno così, se le lucciole hanno spento il lume. Bruno Quaranta