I FANTASMI DI BARBOLINI di Giovanni Tesio

I FANTASMI DI BARBOLINI I FANTASMI DI BARBOLINI SI dice fantasmi ma più nessuno pensa a creature di brumosi manieri. Ormai sappiamo bene che i fantasmi sono in noi, che i fantasmi siamo noi, l'altra faccia della nostra stessa luna. Naturalmente sono di questa seconda specie i fantasmi che Roberto Barbolini, quarantaquattrenne giornalista culturale di «Panorama», scrittore del fantastico, saggista e antologista curioso, incrocia nel romanzo II punteggio di Vienna. Nel romanzo - difficilissimo da raccontare -, i fili narrativi legano una quantità di personaggi e di vicende in un andirivieni di secoli e di luoghi. Personaggi e storie che si richiamano, motti maschere emblemi parole presenze agguati fughe iniziazioni duplicazioni agnizioni che si rincorrono entrando ed uscendo da un oggi che non è se non l'ombra di ciò che è stato, da un altro ieri che non è se non l'orma di ciò che sarà. Ci troviamo un'associazione segreta, una parola d'ordine libertaria, una vecchia ruffiana e fattucchiera, una splendida protetta, una scultura mostruosamente enigmatica che sta piantata nel romanzo come un sortilegio, due giovani che corrispondono in un carteggio strano e prolungato, un erudito del Settecento e un gentiluomo inglese accompagnato da un ebreo errante, un baritono e un amico di Primo Camera persino un golem: famiglie, coppie, legami, pene d'amor perdute e gioventù da c'era una volta a cui l'io narrante mescola la sua vita in una vicenda corale di incarnazioni e reincarnazioni. Qui si viaggia in un tempo che si fa geografia, in una ereditarietà che si fa compresenza, percorsi di epoche e personaggi che intersecano le loro strade, mappe viventi di luoghi in cui ciò che è stato tornerà ad essere. La morale della favola è sempre un po' più in là di dove parrebbe di poterla incontrare e ci vuole tutto il romanzo per mettere in chiaro «quanto i fantasmi siano importanti nelle nostre vite». Morale, come si vede, rigorosa e nello stesso tempo costantemente venata di ironia. L'arguzia è dissemina¬ I Raymond Federman, scrittore egualmente a suo agio con l'inglese e il francese (nato a Parigi nel 1928, dal 1947 negli Usa dove è docente di inglese e letterature comparate), il pubblico italiano conosceva il romanzo Sorrìsi a Washington Square. Quello odierno, uscito nel 1990 con un titolo, To Whom lt May Concern, che è stato tradotto alla lettera - in inglese è la formula con cui ci si indirizza a destinatari sconosciuti, per esempio di una lettera di benservito - è un romanzo travestito da appunti per un romanzo, o se volete, appunti per un romanzo che diventano, fino a un certo punto, una storia. Colui che scrive imposta in una lettera a una persona cara una situazione, quella di due cugini ebrei (ma questa parola non viene mai scritta), separati subito dopo la guerra, che stanno per rivedersi dopo trentacinque anni, all'aeroporto di Tel Aviv (ma la città non viene mai nominata). Lei, intrepida coIona con un marito e due figli di cui il maschio è un poliziotto attivo nella lotta contro i terroristi, aspetta l'arrivo di lui, che" è diventato uno scultore famoso in America, dove emigrò ragazzo e dove alla cugina non fu consentito di seguirlo perché non in buona salute. Occasione del viaggio e della riunione è una mostra con cui lo Stato di Israele (mai nominato neanch'esso) o qualche Ente del luogo intende onorare l'illustre artista. Nelle lettere successive colui che scrive accenna alle difficoltà che tale situazione vividamente immaginata gli pone, e di volta in volta le risolve. Mentre l'atteso incontro viene rinviato di qualche ora per via dell'esplosione di una bomba su di un autobus, con conseguenti controlli, chiusura temporanea dell'aeroporto e ritardi dei voli, l'autore immagina le circostanze in cui i due cugini erano so- ta nelle righe, nel gusto dell'equivoco linguistico e del paradosso, negli incastri e negli incroci di lettere che creano con il corto-circuito dello scarto di senso, il senso stesso di un destino: fantasmi di fili e fili di fantasmi che s'ingarbugliano confondendo «i miraggi e le mete», poiché «sono spesso le inezie a decidere il corso della nostra esistenza». Nella sua accorta regia il romanzo di Barbolini contiene alcune belle pagine su una Modena mendicante intomo al duomo, che possono richiamare alla memoria un Perez Galdòs visto con occhi bunueliani. Nessuna intenzione con ciò di istituire valori, per carità. Ma umori sì, e molti. Come vuole il richiamo che Barbolini fa a Musil, sarà pur vero che non è il caso di dare particolare importanza al nome del luogo, ma qui, nella trasmigrazione dei tempi-luoghi, Modena assume un'indiscutibile centralità. Solo a partire da questo centro pieno come un uovo di richiami ricordi fantasmi, a cui l'io narrante affida il suo stesso esistere, può avvenire lo spiazzamento alluso nel titolo: il sogno di un altrove in cui per una volta vincono i migliori, ossia quelli che nel loro dove (magari a Modena) hanno subito le sconfitte più secche e dolorose, patite per timidezza, per delicatezza o per necessità. Il gioco che Barbolini conduce è serio, ma la sua morale non è mai rassicurante: «Non è forse ambiguo privilegio comune tanto al fanale quanto alla ragione umana, quello di spostare appena di un passo la tenebra che s'illudono di rischiarare?». Non siamo certo padroni della nostra vita più di quanto un narratore possieda la propria storia, ma proprio per questo la favola ha la sua (felice) ironia. Se l'ombra non è che il controcanto della luce, sono i fantasmi i nostri migliori compagni. Giovanni Tesio Roberto Barbolini Il punteggio di Vienna Rizzoli pp. 208. L. 24.000

Persone citate: Barbolini, Morale, Musil, Perez, Raymond Federman, Roberto Barbolini

Luoghi citati: America, Israele, Modena, Parigi, Tel Aviv, Usa, Vienna, Washington