Parliamone POETI ALLA CAMERA: LORO SI' HANNO RITMO
Parliamone Parliamone POETI ALLA CAMERA: LORO sr MANNO RITMO EARLAMENTARl cantanti a Sanremo, poeti recitanti a Montecitorio: confusione dei ruoli, dei luoghi e delle lingue, nessuno al proprio posto, ricerca smaniosa d'un altrove più spettacolare e mediatico, rinuncia a un'identità sentita come troppo poco esposta e glamour, scontentezza d'una funzione avvertita come troppo elitaria? Magari non in tutt'e due i casi. Si sa che la presidente della Camera Pivetti ha invitato per il sei marzo quattro dei maggiori poeti italiani, Attilio Bertolucci, Piero Bigongiari, Mario Luzi, Edoardo Sanguineti, a dare pubblica lettura dei propri versi (centoventi versi per ciascuno) alla Camera, nella bella Sala della Lupa. Battezzata «Poesia a Montecitorio», organizzata dall'editore Nicola Crocetti, condotta dal critico Silvio Ramat, televisivamente ripresa da RaiUno, l'iniziativa avrà pure qualche modo per venir ricordata: un video, un volumetto edito dalla Camera. Ci vogliamo scandalizzare? Per niente. Anche se una sede politica non sembra la più adatta a una lettura di versi, anche se l'evento pare riproporre un legame storicamente non nuovo ma modernamente stonato tra potere e poeti, non c'è da temere la rinascita impossibile della figura del poeta di Corte. Bertolucci, Bigongiari, Luzi e Sanguineti non rischiano alcuna diminuzione; Montecitorio non potrà che ricavare vantaggio dall'irruzione di parole meno aride, meno interessate o meno corrive di quelle abitualmente risonanti tra le sue pareti; la lettura di poesia compiuta dagli autori è un esercizio culturale così bello, e in Italia così insolito, da meritare che se ne conservi memoria. Si sa che un gruppo di circa trentacinque deputati e senatori di diversi gruppi parlamentari si sono esibiti ieri sera sul palcoscenico del festival di Sanremo, cantando in coro per beneficenza una canzone d'amore intitolata «Cosa sarà». Ci vogliamo scandalizzare? Certo. E non soltanto perché lo scopo benefico pare pretestuoso: se davvero quei deputati e senatori, incitati dall'Istituto Sacra Famiglia, intendono «sensibilizzare il governo» sulla questione dell'infanzia abbandonata, dispongono di mezzi più efficaci e pertinenti (dall'azione parlamentare alla donazione personale) che non proporsi come cantanti. Non soltanto perché l'impresa, se in buona fede, esprime una sfiducia nei normali mezzi politici paragonabile soltanto al gesto disperato del disoccupato che per ottenere un posto di lavoro minaccia di buttarsi dal Colosseo. Non soltanto perché c'è nell'impresa qualcosa di essenzialmente futile, finto e sciocco, di altamente stridente con l'aria cupa del momento italiano; non soltanto perché può essere vista come un tentativo tra ridicolo e patetico per uscire da sé, per guadagnarsi qualche momento-di maggiore audience, d'una popolarità più cordiale. Non soltanto, non tanto per questo: soprattutto, ci vogliamo scandalizzare perché i deputati e senatori cantanti a Sanremo non sanno cantare. Se la caverebbero meglio, caso mai, i poeti: loro, almeno, il senso del ritmo ce l'hanno.
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