Lumière rinasce a Lisbona di Marco Vallora

Milano, alla Triennale i rapporti tra cinema e architettura Milano, alla Triennale i rapporti tra cinema e architettura Lumière rinasce a Lisbona Wenders: il mio film con Pessoa EMILANO 0 sky-line lucidato, freddo, «razionalista» di una città tedesca. Facciamo Francoforte. E una cartolina dai colori vecchiotti che scivola sui titoli di testa. Come una cortina insistente di pioggia, che righi il vetro dell'immagine. C'è, profilata sulla cartolina, la respirante, colorata casualità dell'urbanistica di Lisbona. La posta si accumula ai piedi della porta: il padrone di casa è assente. Ecco la sua mano che ritorna, il piede d'unico piede sano) che scosta la montagnola di buste e dépliant. Compare in un cerchiolino di luce la foto di Fellini. Un giornale, il giorno della morte: «Ciao, Federico!». Poi la cartolina, l'unica posta che calamiti l'attenzione del nostro inquilino. «Winter! Canaglia! Mi serve il tuo aiuto! Sos! Vieni a Lisboa, con il tuo armamentario, al più presto». Così incomincia l'ultimo fascinoso, astutissimo film di Wim Wenders, che è venuto a presentarlo a Milano, nella cornice di questa intelligente iniziativa alla Triennale: «Sopralluoghi di cinema e di architettura». Che importa in Italia la stimolante rassegna di film sull'architettura della Biennale di Graz e si concede una distesa tre giorni di interventi incrociati. Gregotti che intervista Wenders a proposito di una città dove ha molto lavorato, l'architetto Hans Kollhoff che racconta i suoi sopralluoghi a Berlino, il momento magico in cui un luogo, uno spazio, un'angolatura di città si immobilizza, si trasforma in inquadratura, pronta a raccogliere in un alveo protettivo la storia a venire. Che cosa c'è di più felice e goloso, del resto, per un flàneur metafisico, della filosofia del sopralluogo? Sei pagato per cercare, giri come un turista senza meta, trovi: lavori le città senza vero impegno, tanto sai che ci ritornerai, che la felicità narrativa si depositerà in quello spazio prescelto come una nevicata, prevista da ogni meteorologia. Così deve esser nato questo sapiente, ultimo Lisbon Story di Wenders che, raccontando i tormenti antichi di chi ha a che fare col commercio delle immagini, si salva predicando la salvezza del cinema, a cent'anni dalla sua nascita. E non è un caso che a pretesto, anzi, a protagonista della sua storia edenica, che vuole riaffermare un possesso estremo sull'innocenza delle immagini, abbia scelto proprio un tessuto urbano, romanzesco e catturante come quello di una città angelicata quale Lisbona. E così, questo film fatto coraggiosamente di nulla, come la bolla di chewing-gum di uno dei tanti bambini immortalati nel vagare di città e destinata a scoppiare nell'aria, si propone proprio come un godardiano documentario di città alla Lumière, che via via si fa però trama romanzesca, come una fantasia labirintica e demonica di Meliès. S'inizia con una detective story (a noi torna alla memoria un felice romanzo di Gramigna: Marcel ritrovato). Winter, il Signor Inverno, che avevamo lasciato agonizzante nello Stato delle Cose, con una superotto sulla pancia crivellata, è risorto e parte alla ricerca disperata di Friedrich Monroe (i nomi non sono mai innocenti), l'operatore cinematografico che a quanto pare è scomparso dalla sua pulciosa cameretta di Lisbona. Winter, che gira con la sua gamba ingessata e - romantico come un verso di Rilke - con le sue valigie «piene di suoni» (è il tecnico acustico del film, che si deve girare) praticamente prende il suo posto come un sosia, sotto la scritta che campeggia sul muro: «Oh perché non posso essere chiunque e in qualsiasi luogo!». Pessoa, naturalmente, il Signor Nessuno: «Ma non vedo nient'altro, in qualche luogo all'interno delle mie palpebre, che Lisbona con le sue case dai molti colori». Per fortuna, infatti, questa volta, accanto alla non-sceneggiatura di Wenders, non ci sono più la sua dannosa compagna Solveig Dommartin e nemmeno Peter Handke. Pessoa, con i suoi paradossi, funziona molto meglio: «Il pensiero è nato cieco, ma sa cosa significhi vedere». «Io ascolto senza guardare e così vedo». Appunto, il tema decisivo della realtà disgiunta dall'immagine soggettiva, dei suoni divisi dall'immagine. Winter va in giro per Lisbona a catturare suoni come una spugna, con la sua ramazza-microfono, proprio come Nabokov col suo retino da farfalle. Perché sa che soltanto così, un giorno, quando ritroverà Monroe, potrà rimarginare l'unità della finzione, l'utopia soltanto moribonda del Cinema. Marco Vallora Una rassegna per la «filosofia del sopralluogo» Vittorio Gregotti. In basso Wenders e una strada di Lisbona