SILVESTRINI Dal pericolo rosso alla Chiesa planetaria

ALBUM DI CINQUANTANNI Fra Pio XII e Giovanni Paolo II, quattro papi e le loro battaglie in Italia e nel mondo SILVESTRINI Dal pericolo rosso alla Chiesaplanetaria ALBUM DI CINQUANTANNI D ROMA 0P0 l'aprile del '45, l'Emilia rossa ammazza i preti. E' la versione italiana della persecuzione in atto in un impero sovietico che si è esteso in mezza Europa e arriva fino all'A-, driatico. La paura che i cosacchi vengano ad abbeverare i cavalli alle fontane di Piazza San Pietro non è poi tanto fantastica. In Vaticano il timore è reale. Solo gli americani, ingenui, non vedono il pericolo. L'inviato personale di Roosevelt presso la Santa Sede, Myron Taylor, va a far visita in Vaticano a Domenico Tardini. Al prelato che dirige la Segreteria di Stato, Taylor racconta che ci sono dei segni che indicano come Stalin stia modificando il suo atteggiamento in fatto di religione. Tardini lo guarda incredulo. Gli dice: «Vuol vedere le informazioni che abbiamo noi? Dovunque arriva l'Armata Rossa, è terra bruciata: le chiese vengono chiuse, i vescovi sono arrestati, i sacerdoti perseguitati. Dove sono questi segni?». Della situazione in Italia, alla fine della guerra, della ingenuità degli americani e della grande diffidenza del Vaticano verso l'Unione Sovietica, racconta il cardinale Achille Silvestrini, ora prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, ma per lungo tempo «ministro degli Esteri» del Vaticano. «Chi può fidarsi di Stalin? La preoccupazione di Pio XII era questa: sarà possibile la sopravvivenza della Chiesa in una metà dell'Europa, dove i sovietici arrivano fino alle sponde dell'Elba e hanno in mano Varsavia, Berlino, Praga, Budapest, Bucarest e anche Belgrado (finché furono alleati di Tito)?». Allora, la paura dei cosacchi c'era davvero. «Così come si profilava la situazione, questa visione un po' apocalittica non era poi tanto fantastica. C'erano i processi ai grandi della Chiesa: a Budapest, il cardinale Mindszenty; a Zagabria, il cardinale Stepinac; a Praga, il cardinale Beran; a Varsavia, incarcerato Wyszynski. Colpendo i grandi pastori dell'Est, si cercava di mettere la Chiesa sul piano degli imputati». Naturalmente da questo orizzonte europeo-internazionale derivava un riflesso sulla situazione italiana. «Certo. Togliatti perseguiva finalità realistiche: la svolta di Salerno, l'offerta di collaborazione democratica a De Gasperi, il discorso al Teatro Brancaccio... Però, il partito comunista aveva nella base forti pulsioni rivoluzionarie e un legame dichiarato e riconosciuto con il Comintern (che poi si chiamerà Cominform). In particolare, mentre c'era una larga area europea, che arrivava fino a Trieste, dove la Chiesa era perseguitata, dopo l'aprile del '45 abbiamo avuto le violenze e le uccisioni dei preti da parte dei rossi in Emilia. Quei fatti pesano ancora nella memoria. «Ora, nonostante tutto, direi che l'azione della Santa Sede nei confronti del contesto italiano è stata moda ziola seridedinSandi mne uscre umemoterpercheCscacondemesstical'Itdeito cerideitalchechimuratperva Camproziocenunnarstr molto equilibrata. Da un lato c'era da far comprendere alle organizzazioni cattoliche gli aspetti reali della situazione, tenerle unite e preservarle da tentazioni di cedimenti ideologici; dall'altro, rispettare la dinamica della politica italiana. La Santa Sede ha lasciato a De Gasperi di mettere in piedi la collaborazione governativa con Togliatti e poi, usciti i comunisti nel '47, di formare un governo con i partiti risorgimentali, cui De Gasperi teneva in modo particolare. L'unico vero intervento della Santa Sede è stato per l'articolo 7 della Costituzione, che inserisce i Patti Lateranensi». Con le elezioni del '48, cioè con lo scampato pericolo dai comunisti e con l'assicurazione di un regime democratico, non sembrano, però, essere cessate le diffidenze del Vaticano e le sue preoccupazioni per l'Italia. Nel '49 ci fu la scomunica dei comunisti, con il famoso decreto del Sant'Uffizio che, da un lato, cercava di arrestare l'infiltrazione ideologica marxista nella cultura italiana e, dall'altro, però, in qualche modo assolveva in coscienza chi aveva aderito al movimento comunista soltanto per ragioni di carattere sociale. Più tardi, nel '52, per intervento di Pio XII, che temeva una scalata dei comunisti al Campidoglio, veniva avanzato il progetto di una cosiddetta Operazione Sturzo, una specie di polo di centro-destra di allora, che doveva unire democristiani, missini e monarchici per le elezioni amministrative di Roma, un'operazione re¬ spinta con determinazione da De Gasperi e da Sceiba, sicuri di avere il consenso elettorale dei romani, come infatti avvenne. Le preoccupazioni vaticane si rivelavano, infine, in vista del centro-sinistra, con il cardinal Ottaviani che scriveva i «Punti fermi» suWOsseivatore Romano, contro i «comunistelli di sacrestia». «Sì, però, vorrei osservare - commenta Silvestrini - che un tradizionale difetto italiano è forse quello di enfatizzare troppo il rapporto che la Santa Sede ha con l'Italia. In realtà, anche con Pio XII, l'interesse del Vaticano spaziava ben oltre i confini della penisola. C'era nel Papa una forte attenzione al progetto di una Unione europea. E c'era un altro grosso interesse alle antiche colonie che in Africa e in Asia si av¬ viavano all'indipendenza. Ricordo l'attenzione del Vaticano per la Conferenza di Bandung (Indonesia) nel 1956, quando si formò il movimento dei Paesi non allineati. Questo aspetto della Santa Sede è forse uno dei più ignorati, ma era importantissimo per la dislocazione dei cattolici nel mondo». Si arriva così alla fine degli Ami Cinquanta, quando appare una nuova immagine di pontefice, Giovanni XXIII... «Certo, per la figura di Papa Giovanni XXIII, oltre la grande opera del Concilio, basterebbe ricordare il suo magistero di pace e il prestigio della sua parola, per esempio, nell'allontanare la minaccia di guerra per Cuba». Ma con Papa Giovanni scatta anche qualcosa di nuovo nel sentire popolare. «Io ho visto nella mia Ro- magna che Giovanni XXIII, nelle case, batté Garibaldi. Il ritratto di Garibaldi non fu tolto, ma il primo posto lo prese Papa Roncalli. Pio XII aveva già creato un primo rapporto con le masse: le grandi udienze erano cominciate con lui. Il film Pastor Angelicus fu il primo modo di portare in una comunicazione di massa l'immagine concreta della vita quotidiana del Papa. Ma la familiarità l'ha sviluppata Giovanni XXIII». E la commozione universale che si è creata attorno alla sua morte... «Ricordo la sera del 3 giugno 1963, quando calò quel grande silenzio nella folla che gremiva piazza San Pietro, negli ultimi minuti, prima che spirasse Papa Giovanni. Fu un senso di così intensa emozione interiore collettiva che penso si sia avverato raramente». E' attraverso quel momento di fremito emotivo che si passa alla figura del nuovo pontefice, Paolo VI, che faticosamente ha dovuto affrontare la Chiesa tormentata del dopo-Concilio e un mondo sempre più inquieto: in Italia, prima il dissenso cattolico, poi l'inizio di una diaspora dei cattolici verso sinistra, con gli indipendenti eletti nel partito comunista, deplorati espressamente da Papa Montini. «Io direi che Paolo VI ha lavorato faticosamente nel senso dell'operaio che lavora con fatica, ma aggiungerei anche: coraggiosamente. Giovanni XXIII ha avuto la grande intuizione profetica dell'evento conciliare e l'apertura intellettuale per far entrare nel Concilio i teologi di ogni tendenza. Ma tutta la costruzione dell'edificio conciliare, tirato su sopra queste fondamenta, è merito di Paolo VI. «Bisogna dire che, salvo alcune minoranze di ecclesiastici e di laici, l'Italia era arrivata impreparata al Concilio. La classe politica democristiana non ne sapeva nulla, anzi a volte sembrava quasi infastidita. I vescovi italiani non avevano leader in Concilio, se si eccettuano Lercaro per le tendenze riformistiche e Siri, Ruffini, Ottaviani per quelle più conservatrici. Ma presto i nostri vescovi si lasciarono ammaestrare e guidare bene dall'ispirazione conciliare». Con Paolo VI comincia a delinearsi anche uno scontro con una società italiana che si ritrova forte¬ mente segnata da una cultura e da un'etica radicale, individualistica. «E' la parte finale del pontificato di Paolo VI, che ha dovuto fronteggiare divorzio e aborto. E' stata la grande croce, sofferta profondamente da Papa Montini: un pastore che anelava a riconciliare la Chiesa con tanti aspetti del mondo moderno, e si è trovato davanti a un processo di sgretolamento morale della famiglia e del rispetto della vita». C'è con Paolo VI anche una svolta nell'immagine mondiale del Papa. E' il pontefice che dà inizio ai grandi viaggi. «Certo, il Papa esce da Roma e si presenta in luoghi significativi della Terra: a Gerusalemme, a Bogotà, in India, in Uganda, all'Orni... Ciò e da collegare anche alla grande importanza assunta dal Terzo Mondo, cui la Santa Sede ha dato forza e valore con l'espansione degli episcopati autoctoni. Nel 1958, c'era una grandissima maggioranza di vescovi europei e del mondo occidentale. Ora i volti stessi dei vescovi dicono quanto sia internazionale la Chiesa, dopo la sua crescita in America Latma, la fioritura nel Continente africano, i progressi in alcuni Paesi asiatici». La drammaticità che ha segnato Paolo VI passa poi in Giovanni Paolo II, nel suo scontro con una società che sembra non voler accettare più alcun magistero morale. «Giovanni Paolo II ha dato nuovi lineamenti all'immagine del Pontefice: è il Papa che, mentre sviluppa un coraggioso, forte e ricchissimo magistero per tutti i problemi dell'umanità, si pone in ascolto, quasi come discepolo, tra gli uomini di cultura che riunisce ogni anno a Castel Gandolfo, si prende in braccio i bambini, si curva sui malati, canta con i giovani. E ci sono altre immagini che ci hanno dato un Papa nella totale dimensione dell'uomo: il Papa ferito in piazza San Pietro, il Papa che perdona e visita in carcere il suo attentatore. Ma drammatica per lui è anche la sofferenza di trovarsi davanti a quella profanazione del senso sacro della vita umana che è l'aborto. E, tuttavia, per riferirci a un fatto recente, come la Conferenza del Cairo, è certo che il Papa, con i suoi interventi, ha dato una scossa forte all'intera opinione mondiale affinché prendesse coscienza di un valore che rischiava di essere sepolto dentro una diplomazia di parole. Ha dato una patente di stima alle Nazioni Unite, come interlocutore necessario, quando pochi si coni ormano alle decisioni di questo organo che pur declamano una specie di governo del mondo. E' il Papa che corre per i continenti a invocare la pace, i diritti degli uomini, l'unione tra i cristiani, il dialogo tra le religioni e si erge sempre in difesa dei popoli che contano meno. Questa missione planetaria dà la misura di quanto è cambiata la Chiesa in cinquant'anni...». Domenico Del Rio La grande svolta con Giovanni XXIII: «La sua immagine sostituì persino quella di Garibaldi nelle case della Romagna comunista» NI Don Sturzo A sinistra: il cardinale Silvestrini Sopra: Togliatti con Pajetta e Longo. A destra: Papa Wojtyla e Pio XII Don Sturzo e, a destra, Paolo VI