«Siate maledetti soldati blu» Nuovi sospetti: portani in salvo solo chi paga di Giuseppe Zaccaria

«Siate maledetti, soldati blu» «Siate maledetti, soldati blu» Nuovi sospetti: portano in salvo solo chi paga DA AMICO A OCCUPANTE SULLA «Slobodna Dalmacija» di qualche mese fa è apparsa una di quelle vignette che descrivono un'epoca. Sul lettino di uno psicanalista che somiglia tutto a Boutros Boutros Ghali è steso un uomo che ha gli occhi come fanali e in testa il casco blu della «United Nations Protection Force». Dice disperato: «Dottore, ma com'è che nessuno mi vuole bene?»: ieri da Srebrenica è arrivata una delle tante, possibili risposte. Come avrete già saputo, per Sarajevo quella di ieri era una giornata memorabile, eppure, nonostante la tensione che circondava la visita del premier turco, l'ennesimo ricatto dei serbi, insomma l'abituale tira e molla, Radio Sarajevo ha interrotto i notiziari per lanciare contro i soldati dell'Onu un'accusa terribile. A Srebrenica, altra città assediata da tre anni, dove decine di ammalati non si possono evacuare, soldati dell'Onu avrebbero chiesto ai civili seimila marchi a testa come lasciapassare per la libertà. Non è stata la solita, generica denuncia: la radio cita per nome una donna già costretta a pagare, indica anonimamente un intero gruppo familiare che ha dovuto sopportare l'identico dazio e fa sapere che esisterebbe ancora una lista d'attesa di dodici persone. Tante, se si pensa a quanto significano seimila marchi per gente che da tre anni vive solo di aiuti umanitari, prestiti dei parenti all'estero e traffici disperati. Adesso si attende una risposta da Zagabria, ancora per un mese sede del quartier generale Unprofor, ma sperare in qualcosa di risolutivo è come attendersi che una separazione condotta a urla e botte si concluda con una soave lettera d'amore. Maledetti i pcacekccpers: fino a Natale questo era soltanto un titolo di «Time», adesso è diventato uno slogan. Maledetti quei soldati che avrebbero dovuto «interporsi» e hanno fatto da spettatori; maledetti quanti dal ruolo di osservatori sono passati a quello di ostaggi dei serbi (vedi la recente storia di Bihac) e dunque di «scudi umani» contro le incursioni della Nato. Maledetti, per motivi opposti, sia dalle vittime che dagli aggressori. Il processo che nel «wargame» di Somalia si è compiuto nell'arco di due anni, fra le ex Repubbliche jugoslave sta maturando con tempi più lenti ma effetti infinitamente più profondi. In parte, soltanto in parte, le ragioni sono le stesse: costrette a non far conto sull'appoggio dei Paesi più avanzati, le Nazioni Unite sono ormai obbligate a rivestire con l'elmetto blu contingenti che giungono da Malaysia, Pakistan, Nigeria, Kenya. Battaglioni composti da gente che è portata a vedere gli ottanta dollari del compenso giornaliero come una manna da moltiplicare per quanto è possibile, finché è possibile, e spesso con tutti i mezzi possibili. Una delle differenze consiste però nel fatto che nell'ex Jugoslavia - se non altro per un fatto di affinità con una delle parti in gioco - a produrre i danni maggiori sono stati alcuni contingenti europei: il russo, in primo luogo, e poi quello ucraino, anche se certe accuse hanno toccato spesso anche canadesi, francesi, inglesi. Da chi vanno, alla sera, le ragazzine di Sarajevo? Dagli ucraini della caserma un tempo intitolata a Gavrilo Princip. Chi ha venduto ai serbi delle Kraijne intere autobotti di benzina? I Caschi blu russi schierati in Slavonia. Fra di essi, un paio d'anni fa, dopo l'indagine dell'Unprofor qualcuno invece di tornare a casa preferì passare direttamente dall'altra parte, prima mercenario per l'Onu, poi per i «fratelli di Belgrado». E ancora: chi pensate alimenti il feroce mercato nero nella Bosnia occupata, dove un litro di gasolio può costare anche cinquanta marchi? Come fa un chilo di farina che dovrebbe essere distribuito gratis a uscire dai depositi, scomparire dai convogli per poi comparire sulle bancarelle a cinque o sei marchi, accanto a un uovo venduto per due, o ad una semplice batteria per radio che può costarne anche venticinque? Rispetto a quanto è accaduto in Somalia, la permanenza dei Caschi blu in Croazia e Bosnia sembra accentuare due elementi: sta durando molto di più, e soprattutto continua a rappresentare la valvola attraverso cui passa qualsiasi rifornimento. Non esiste litro di carburante, o stecca di sigarette, o confezione di medicinale che non passi per i magazzini e i convogli della «Protection Force». E' sufficiente questo a spiegare come mai l'odio verso i «gloriosi milites» dell'Onu sia l'unico elemento che oggi accomuni vincitori e vinti. Due mesi fa la visita di Boutros Boutros Ghali a Sarajevo si era svolta fra insulti, lanci di rifiuti, tentativi di aggressione: solo perché Bihac stava cadendo? Nel frattempo la campagna di denuncia contro vere o presunte malefatte dell'occupante si e accentuata. Se due anni fa lo «scandalo Mac Kenzie» occupò le prime pagi- ne solo per pochi giorni (eppure non era cosa da poco: Lewis Mac Kenzie, canadese, responsabile dei Caschi blu per la Bosnia, fu accusato di aver approfittato di prigioniere bosniache rinchiuse dai serbi in due «bordelli di guerra»), da allora il sospetto si è fatto valanga. E dunque, ecco esplodere nel giugno scorso il caso del bimbo nero, figlio di una profuga della Kraijna finita per qualche tempo sotto l'infausto controllo di Caschi blu nigeriani. O quello dei «pass» pagati mille o duemila marchi solo per aver diritto all'uscita da Sarajevo. Adesso, la vicenda di Srebrenica sembra dimostrare soltanto che con il protrarsi della guerra e l'incrudelirsi delle condizioni di vita, le tariffe si sono alzate. In questo quadro, non è difficile immaginare a quale fine la spedizione dell'Unprofor stia andando incontro. Poche settimane ancora, e il «no» della Croazia ad un prolungamento della missione sul suo territorio diventerà operativo. Ancora pochi giorni, ed i piani di ritiro (o ridislocamento) dei Caschi blu dovranno assumere i ritmi di una ritirata, sia pure parziale. Resta da capire cosa succederà dopo. Un elemento però sembra chiaro: se mai la Croazia accetterà di mantenere un piccolo contingente Onu sul suo territorio, lo vorrà schierato alle frontiere. E se la Bosnia riuscirà a imporre il suo punto di vista, vorrà vedere Caschi blu che fronteggiano l'artiglieria serba, non che si rintanano nei rifugi. Se te la senti va' a combattere, soldato, ma fuori dalle città: a inquinare la vita ha già pensato la guerra. Giuseppe Zaccaria

Persone citate: Boutros Boutros Ghali, Dalmacija, Gavrilo Princip, Lewis Mac Kenzie