I clan lottano per assicurarsi il saccheggio delle installazioni abbandonate dai caschi blu Mogadiscio guerra al porto di Francesco Fornari

I clan lottano per assicurarsi il saccheggio delle installazioni abbandonate dai caschi blu I clan lottano per assicurarsi il saccheggio delle installazioni abbandonate dai caschi blu Mogadiscio, guerra al porto E' battaglia, domani sbarcano gli italiani MOGADISCIO. Una notte di paura è scesa su Mogadiscio dopo una giornata di feroci combattimenti: fin dalle prime luci dell'alba bande di morian (banditi) e miliziani dei clan minori esclusi dall'accordo stipulato fra le fazioni dell'ex presidente Ali Mahdi e del generale Mohamed Farah Aidid per la gestione del porto e dell'aeroporto di Mogadiscio, hanno sparato con ogni tipo di arma, dai Kalashnikov alle mitragliatrici pesanti, contro le «truppe» dei signori della guerra che avevano preso posizione intorno ai perimetri delle due strutture per impedire il saccheggio che inevitabilmente verrà tentato per impadronirsi di tutto quello che i Caschi Blu avranno lasciato. Nel tardo pomeriggio numerosi colpi di cannoncino e raffiche di mitragliatrice hanno colpito l'albergo dei giornalisti «al Sahafi», al quarto chilometro, praticamente semivuoto perché quasi tutti i giornalisti si erano già trasferiti all'interno del campo fortificato dell'Unosom. I pochi rimasti sono illesi e stamane cercheranno di raggiungere la zona protetta. Purtroppo i Caschi Blu non sono in grado di intervernire: ieri i combattimenti si sono svolti praticamente sotto gli occhi dei militari dell'Onu, al riparo nelle loro fortificazioni, ma soltanto quando qualche bomba di mortaio è finita all'interno del campo sono stati fatti uscire un paio di carri armati pachistani che dopo pochi minuti, non appena le «tecniche» più vicine all'area aeroportuale si sono allontanate, sono rientrati precipitosamente. Negli scontri di ieri sono morte almeno due persone, mentre i feriti sono alcune decine. Il campo di battaglia ha come epicentro la piazza del quarto chilometro e si estende, verso Nord, fino al porto, nel quartiere di Hamar Jejeb, in un'area delimitata da piccole dune e dal mercato dei cammelli. A Sud, invece, corre lungo il perimetro dell'aeroporto e si addentra nel popoloso quartiere Medina, lungo la via Afgoy. Fino a sabato questa strada era un mercato affollato, adesso è deserta, percorsa a tutta velocità dalle «tecniche» dei vari gruppi che si danno battaglia. Davanti all'ingresso dell'ospedale Benadir c'è una piccola folla dolente: arrivano qui i feriti, qui dove la parola pace è sconosciuta. Domattina all'alba i marines americani e i nostri militari impegnati nell'operazione «united shield» sbarcheranno dalle navi che si sono avvicinate a cinque miglia dalla costa e prenderanno posizione nei trinceramenti approntati in questi giorni per proteggere l'evacuazione degli ultimi Caschi Blu, 900 bengalesi e 1500 pachistani, e del comando Unosom. Sarà questa la fase più delicata: la difesa dell'area fortificata sarà affidata ai 2000 marines Usa e ai circa 500 fanti di marina e paracadutisti italiani, che potranno contare sulla protezione degli elicotteri da combattimento mentre sulla portaerei Garibaldi gli «Harrier» a decollo verticale saranno pronti ad intervenire in caso di necessità. Per questo nei giorni scorsi i marines hanno allestito su una delle dune che dominano la pista dell'aeroporto una «centrale di tiro» in grado di guidare i piloti sugli obiettivi. Se non ci saranno intoppi, il ritiro dei soldati dell'Unosom dovrebbe essere completato nella giornata di martedì e all'alba di mercoledì gli incursori del San Marco e i para potrebbero tornare a bordo delle nostre navi, seguiti dai marines americani cui spetta il compito della retroguardia. Francesco Fornari Soldati Usa all'aeroporto di Mogadiscio e sopra somali premono a uno degli ingressi del porto

Persone citate: Aidid, Ali Mahdi, Mohamed Farah

Luoghi citati: Mogadiscio, Usa