Morto il «padre» del nuovo codice
Morto il «padre» del nuovo codice Malato, dovette dire di no a Dini che lo voleva ministro dell'Interno Morto il «padre» del nuovo codice Pisapia era uno dei più noti penalisti italiani L'AVVOCATO DEI GRANDI PROCESSI E1 MILANO morto ieri a Milano il professor Giandomenico Pisapia, uno dei maggiori penalisti italiani e «padre» del nuovo codice di procedura penale. Era malato da tempo e proprio per questo, al momento della formazione del governo Dini, aveva rinunciato alla proposta di diventare ministro dell'Interno, fattagli personalmente dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Già da qualche mese era stato sostituito nell'attività professionale, in particolare al processo per le tangenti alla Gdf in corso a Brescia, da uno dei figli, Giuliano, anche lui penalista. Nato nel 1915 a Caserta, si era laureato a 20 anni in giurisprudenza e a 23 in filosofia. Nel 1938 fu primo al concorso per l'avvocatura dello Stato, ma dovette rinunciare a quella carriera perché non volle prestare giuramento al fascismo. Sin dal 1937 esercitò le funzioni di avvocato, ma buona parte della sua vita è stata dedicata all'attività universitaria. Nel 1953 vinse il concorso per la cattedra di diritto penale e nel febbraio del 1956 divenne ordinario di diritto penale all'università di Modena, dove alcuni anni dopo fu nominato preside della facoltà di giurisprudenza. Dal 1955 ha insegnato all' università statale di Milano, di cui è diventato professore emerito. Autore di numerose opere giuridiche, pubblicista con interventi qualificati su importanti quotidiani, ha diretto le più importanti riviste di settore. Dal 1975 ha presieduto la commissione governativa per la riforma del codice di procedura penale, che elaborò il nuovo codice, e ora presiede¬ va la commissione per l'integrazione e la correzione delle norme del nuovo processo penale. Tra i processi più noti ai quali ha partecipato, quello a carico di Marino Vulcano, che sostenne di aver ucciso la mo- glie sotto l'effetto di uno psicofarmaco e che sposò la vìcedirettrice del carcere di Rebibbia; il processo agli studenti autori del giornaletto «la zanzara», ritenuto scandalistico, tra i quali c'era il giornalista Walter Tobagi poi ucciso negli anni del terrorismo; il processo Sifar, in cui difese i giornalisti Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi accusati di diffamazione dal gcn. Giovanni De Lorenzo; il giudizio per il disastro del Vajont, il procosso per l'uccisione del commissario Calabresi e quello più recente a carico di Vincenzo Muccioli per quanto accaduto nella comunità di San Patrignano. Giandomenico Pisapia ha anche partecipato come difensore all'inchiesta Mani pulite ed ò stato uno dei legali che hanno difeso i vertici della Fiat quando la procura milanese indagava sulle tangenti pagate dalla Cogefar Impresit e da altre aziende del gruppo. Ultimo processo, quello per le vicende Enimont. Quando nelle aule l'anziano professore si alzava per prendere la parola tutti lo ascoltavano quasi rapiti dal fascino della sua oratoria: giudici, pubblici ministeri, avvocati. Tutti ad ascoltare le sue interpretazioni di quel codice che aveva contribuito a far nascere. Era tanto famoso che il suo nome fu evocato per settimane nella celebre gag «parla lei o parlo io» di una trasmissione di Renzo Arbore. [Ansa-Agi]. Dal caso di Marino Vulcano alla «Zanzara»; dal Sifar alla strage del Vajont; dall'omicidio Calabresi, a Muccioli e all'affare Enimont Il professor Giandomenico Pisapia
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