E venne il giorno dello sdegno Così sul Colle è tornato il piccone di Paolo Guzzanti

E venne il giorno dello sdegno Così sul Colle è tornato il piccone E venne il giorno dello sdegno Così sul Colle è tornato il piccone LA TRINCEA DEL QUIRINALE IL conflitto è terrificante, le parole di una violenza tale da sfidare la sensibilità e la capacità di capire dei cittadini, il filo della logica ò sottile ma non lineare: ho provato a mettermi idealmente dietro Oscar Luigi Scalfaro così come mi capitò di trovarmi dietro la nuca di Francesco Cossiga, quattro anni fa, quando aprì a Gela il periodo, per usare le sue parole, della «fluidità costituzionale». Allora si diceva che Cossiga era matto da legare e io scrissi che non mi sembrava affatto, senza entrare nel merito. Oggi vedo Scalfaro che dà arditamente di matto a un privato cittadino americano, il politologo Edward Luttwak, responsabile di aver detto in tv (Spazio aperto su Rai Tre, di Barbato) che la democrazia italiana appare ai mercati deformata, limitata e sospesa. E che il governo Dini è una creatura artificiale esterna ed estranea alla volontà espressa dal voto popolare. Scalfaro parla a braccio. Impiega pause ad effetto e qualche volta ad cffcttaccio. Gli vibra un po' il mento per lo sdegno. Usa parole sconcertanti, inconsuete, anche se ormai la politica ci ha abituato alla caduta di molti veli. Il nodo della sua cravatta è come al solito un po' voluminoso, il vestito di buon taglio non è tuttavia così maniacalmente autoadesivo come quello di Silvio Berlusconi che ieri Scalfaro ha attaccato frontalmente e brutalmente, peraltro dopo essere stato a sua volta attaccato altrettanto frontalmente e direttamente venerdì. Ha fatto impressione, una grande impressione, del discorso del capo dello Stato, proprio la caduta di ogni riserva linguistica, di ogni artificio formale. Ha apertamente accusato il fronte avverso, cioè il Polo della Libertà e il suo leader, di minacciarlo con l'intenzione di mettere il presidente della Repubblica in stato d'accusa per attentato alla Costituzione. Anche a questo proposito chi scrive non può rinunciare ai ricordi politici: Cossiga fu messo in stato d'accusa più o meno dallo stesso schieramento che oggi sostiene viceversa l'attuale capo dello Stato, e difeso viceversa più o meno dallo stesso schieramento che oggi critica aspramente Scalfaro. Ma, attenzione, Cossiga, che ha subito in corpore vili, il suo, l'esperimento vivisezionista con cui si è aperta la fase bipolare e cannibalica del cosiddetto nuovismo, oggi sostiene Scalfaro. Non lo sostiene, immagino, perche condivide per filo e per segno, parola per parola quel che pensa e dice, ma perché l'ufficio del Quirinale è per la sua funzione un ufficio di garanzia che va rispettato proprio perché è l'unica fonte di garanzia. Dall'altra parte è verissimo che Berlusconi e il suo Polo lamentano il fatto che il capo dello Stato non li garantisca. Ed è qui che la forbice si divarica, si divide la babele delle lingue e dei significati, è qui che la questione si drammatizza oltre i limiti del sopportabile per una democrazia in condizioni di salute discutibili come la nostra. Vedevamo ieri Scalfaro e sentivamo le sue parole: anche lui è un uomo enfatico, sapientemente enfatico. Conosce il mestiere. Ha una curiosa tendenza a liquidare gli articoli delle parole e sviluppare sintesi ardite. Indica Luttwak, ed è stata un'idea a nostro parere pessima, come «un personaggio a me ignoto». Un capo di uno Stato non ingaggia una polemica intergalattica con un personaggio ignoto «che da altra parte dell'oceano spiegava che c'è un governo in Italia che è stato fatto, prendo atto, di prepotenza dal capo dello Stato». Così parla Scalfaro, il quale poi, altro momento di sofferenza per noi che ascoltiamo, dà del matto all'interlocutore ignoto con una involuta parallasse parrocchiale quando dice che Luttwak (che non nomina) gli sembra «più degno dell'attenzione del ministero della Sanità del suo Paese». Luttwak, prontamente rcintervistato sia dal tg di Italia 1 che dal Tgl, risponde un po' imbarazzato che lui di diritto costituzionale italiano non capisce nulla, ma che da osservatore straniero vede quel che vedono i mercati. E cosi ci troviamo di fronte a una situazione complicata, ansiogena, carica di rancori personali e di offese brucianti, che vede fra i duellanti anche colui che viceversa non dovrebbe duellare affatto perché il suo compito è quello di fare l'arbitro, cioè il capo dello Stato. Ma il capo dello Stato ieri era fuori dei gangheri perché la sua condizione esistenziale, oltre che costituzionale, imponendogli di difendere comunque la «Costituzione che c'è», in luogo delle diverse Costituzioni possibili, lo obbliga a duellare invece di arbitrare. Il presidente della Repubblica non ci è sembrato tuttavia imbarazzato, ma anzi - per usare un'espressione storica del suo predecessore - uno che prova sollievo a togliersi i sassi dalle scarpe, il suo eloquio è come sempre cattedratico, ma da preside. Il suo italiano lievemente stentoreo, ma al servizio dell'effetto, dell'ufficialità che è il mantello della forma. Le sue mani tendevano ad aggrapparsi al curioso microfono a due elementi, come uno che si affacci da un cancello per discutere con i viandanti, e ne sia contento. L'uso desila pàusa, addostralissiino. L'occhio a sonda laser vagante. L'asse verticale del corpo in lieve oscillazione pendolare, con baricentro appena un dito sotto il punto di vita. E un che di dardeggiamo, un certo gusto per la sfida. Un cossighiano d'altri tempi, come Francesco D'Onofrio che oggi è uno dei leader del Polo, prende le distanze da Berlusconi, così come le prende Bottiglione: nessuno di loro vuole mettersi con la lancia in resta a fare la giòstra del Saracino usando il busto di Oscar Luigi Scalfaro. Probabilmente lo fanno anche per porsi in una posizione che noti possa essere identi- ficaia come quella degli schiamazzi, altra parola inconsueta usata dal presidente della Repubblica. La loro posizione è però stringente!: il governo dica subito come vuol fare la riforma delle pensioni e la presenti perché sia votata entro marzo, così da consentite al Quirinale di prenderne atto e indire le elezioni dopo le attese dimissioni di Lanfranco Dini. Scalfaro ha gridato: «C'è un Parlamento in piena attività». Li lo abbiamo riconosciuto: lui è un difensore! storico della centralità del Parlamento, mentre la tendenza prevalente del Polo liberale è di considerare centrale non il Parlamento ma l'elettorato. E questo è il cerchio di fuoco in cui (leve saltare la nostra democrazia. Paolo Guzzanti

Luoghi citati: Gela, Italia