«Addio public company» Privatizzazioni, si cambia di Roberto Ippolito

Masera: meglio avere pochi grandi azionisti, meno rischi di scalata Masera: meglio avere pochi grandi azionisti, meno rischi di scalata «Addio public company» Privatizzazioni, si cambia ROMA. Campane a morto. La public company ha avuto vita breve. Ha suscitato entusiasmi, ha diviso gli italiani tra favorevoli e contrari, ma ora la società con una folla di mini azionisti è sepolta. E dimenticata: il governo di Lamberto Dini le preferisce il nocciolo duro. E' convinto, cioè, che sia meglio avere nelle grandi imprese pubbliche privatizzate una pattuglia di soci che (con quote più o meno grandi) assumono il controllo e determinano la gestione. La svolta è arrivata giovedì, con il nuovo programma di privatizzazioni predisposto da Dini (Imi e Ini a giugno, Enel a luglio, Stet in autunno, Eni entro l'anno e senza smembramenti, come l'Enel). Confessa il ministro del bilancio: «Io personalmente sono contrario alle public companies, che determinano un vuoto di controllo che poi qualcuno tende ad assumere». Il nocciolo duro serve quindi a ostacolare eventuali scalate. C'è molto realismo: oggi la Borsa va male e non è agevole far investire i risparmiatori. Sembrano lontane anni luce le aspre dispute che, nel 1993, spaccarono il governo di Carlo Azeglio Ciampi. Il ministro dell'Industria Paolo Savona sponsorizzava il nocciolo duro. Ma ebbe la meglio il collega del Tesoro Piero Barucci, teorico della public company. Con Barucci era schierato l'allora presidente dell'Iri Romano Prodi, oggi candidato alla presidenza del Consiglio per il centrosinistra. La scelta a favore del nocciolo duro riguarda tutte le prossime privatizzazioni. Masera la sostiene, in particolare, per l'Enel. Il ministro del bilancio fa presente che «per le public Utilities» (le aziende che gestiscono i servizi pubblici, come l'elettricità) «occorre estrema prudenza» per il collocamento delle azioni. Un azionariato troppo diffuso non è considerato opportuno in settori strategici: renderebbe ingovernabile l'Enel, esponendola al rischio di scalate. L'Enel, comunque, non è privatizzabile se non si costituisce l'authority di cui si occuperà il Senato la prossima settimana. Ma chi può entrare nel nocciolo duro? «In Italia - dice Masera - non ci sono i fondi pensione, ma esistono le fondazioni bancarie e i grandi istituti di credito: nuclei forti si possono trovare». Il ministro invita perciò le «grandi fondazioni bancarie a destinare risorse» per l'ingresso nelle società privatizzate. Una direttiva emanata da Dini come ministro del Tesoro già prevede che le fondazioni diversifichino il patrimonio. Più che ai risparmiatori, il governo si rivolge quindi agli investitori istituzionali (banche, assicurazioni, fondi), italiani e stranieri. E svela che i coordinatori del collocamento dell'Enel hanno avviato la ricerca degli acquirenti: «Le loro valutazioni sono soddisfacenti, si potrebbe partire presto». Con il nocciolo duro si evita «di drenare troppe risorse dal mercato». I risparmiatori non hanno un forte interesse per le quote residue di Imi e Ina in vendita a giugno: dopo l'avvio della privatizzazione lo scorso anno, le azioni si sono deprezzate. Si stanno perciò contattando i possibili «investitori stabili» per «chiudere nei tempi previsti» e «spuntare prezzi» migliori: chi conquista il controllo paga un sovrapprezzo rispetto alle quotazioni di Borsa. Roberto Ippolito

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