Pertini la sfida della fierezza

L'ex Presidente commemorato ieri a Roma, nel quinto anniversario della morte: un uomo scomodo, sempre coerente L'ex Presidente commemorato ieri a Roma, nel quinto anniversario della morte: un uomo scomodo, sempre coerente Pertini, la sfida della fierezza Odi e amori d'un vero socialista liberale pi IE dovessi definire con una L' parola il carattere di San% dro Pertini la cercherei nel il vecchio catalogo delle no^ I bili virtù. Forse la parola più giusta è «fierezza». Leggendo i suoi scritti e i discorsi accade di leggere: «Io sono stato fiero e orgoglioso...», «con fierezza e tenacia...». Rivolgendosi ai giovani: «Se voi volete vivere fieramente...». Fierezza, virtù dell'uomo libero, che va diritto per la sua strada, non guarda in faccia a nessuno, incurante degli ostacoli che gli sbarrano la via, perché convinto di essere su quella giusta. Fierezza e anche consapevolezza della propria dignità, ma senza eccessivo compiacimento di sé, che è orgoglio, e senza ostentazione, che è alterezza. Tenere, come si dice, la testa alta, non piegarsi ai potenti. Il contrario della pusillanimità e della volgarità. Cercare di non compiere mai un'azione di cui tu debba vergognarti di fronte a te stesso. Non sarà mai citata abbastanza la lettera del gennaio 1929, inviata alla madre dal carcere di Savona, dove era detenuto per «aver menomato il prestigio dell'Italia all'estero e per essersi introdotto clandestinamente in Italia»: «Mamma, con quale animo hai potuto far questo? Non ho più pace da quando mi hai comunicato che tu hai presentato domanda di grazia per me». E' una lettera dura, aspra, ma la durezza e l'asprezza sono il prezzo della posta in gioco: la propria dignità, la propria coerenza, la fedeltà ai propri ideali. Dice ancora: «Devo frenare lo sdegno del mio animo». Si leggeranno spesso nei suoi discorsi frasi come «rifiuto con sdegno...». Ma lo sdegno è appunto uno degli atteggiamenti con cui la fierezza suole esprimersi. Di questo suo animo, del resto, egli era ben consapevole e non ne faceva mistero. Soleva dire che gli uomini di carattere hanno un cattivo carattere. Non nascondeva i propri sentimenti, anche quando sapeva che potevano essere urtanti. Ma di fronte alla vergogna di un atto violento o volgare, specie se compiuto da chi ha pubbliche responsabilità, urtare era ta- lora necessario. Da Presidente della Repubblica, si rivolge al generale Bignone, Presidente della Repubblica argentina, che aveva protestato per essere stato accusato di tanti scomparsi per opera degli squadroni della morte: «Non mi interessa che altri capi di Stato non abbiano sentito il dovere di protestare, come ho protestato io. Peggio per loro». Non gli spiace di apparire un uomo scomodo. Quando bisogna parlare chiaro, la prudenza diplomatica non serve. Di fronte alle prime accuse di corruzione di pubblici amministrato¬ ri, in un'intervista del marzo 1974, Presidente della Camera, si sfoga: «Ma non ti rendi conto, mi ha rimproverato uno, che qui crolla tutto, è in gioco l'intero sistema? Il sistema, dico io, ma io me ne infischio del sistema, se dà ragione ai ladri. Lo scandalo più intollerabile sarebbe di soffocare lo scandalo». Aveva i suoi odi e i suoi amori, e non li dissimulava. Ma era a sua volta, inutile nasconderlo, amato e avversato. Ebbe sempre un'invincibile tendenza a far parte per se stesso. Socialista coerente e in¬ transigente dal principio alla fine della sua vita, la sua naturale vocazione era di stare dalla parte della minoranza. Nei primi inquieti anni dopo la Liberazione, quando il partito socialista stava cercando faticosamente la propria strada, fu per l'unità del partito contro Saragat ma nello stesso tempo avverso alla fusione contro Nenni. Contro la scissione a destra nel 1946, contro la scissione a sinistra nel 1964. Si ispirò sempre all'idea che socialismo e democrazia dovessero andare di pari passo. In uno dei suoi primi scritti dopo la libertà conquistata disse: «Il partito socialista, assertore di libertà democratiche, deve adoperarsi in tutti i modi affinché la coscienza democratica si sviluppi in seno alla classe lavoratrice. Perché noi socialisti siamo persuasi che le istanze socialiste devono essere realizzate in pieno regime democratico, poiché sappiamo che libertà e socialismo costituiscono un binomio inscindibile, l'un termine presuppone l'altro». Che libertà e giustizia siano inscindibili è una sua ferma convinzione, e non perde occasione per esprimerla. Più di trent'anni dopo nel discorso di insediamento come Presidente della Repubblica il 9 luglio 1978 dirà: «Se a me, socialista da sempre, offrissero la più radicale delle riforme sociali a prezzo della libertà, io lo rifiuterei, perché la libertà non può essere barattata...: libertà e giustizia sociale costituiscono un binomio inscindibile». Non molti anni prima parlando degli ideali della Resistenza, rivolgendosi ai giovani, ripete lo stesso concetto. Altrove: «Non solo per la libertà ci siamo battuti, ma anche per la giustizia sociale. Perché la libertà senza giustizia sociale rimane un concetto astratto, vuoto». Non si poteva esprimere più chiaramente l'ideale che fu chiamato dal libro di Carlo Rosselli «Socialismo liberale». Contrapposto al socialismo illiberale che si era andato instaurando nell'Unione Sovietica. Indocile e sempre in atto di sfida di fronte ai potenti, si piegò dolorosamente, e con la volontà di cambiarne le sorti, sulle afflizioni e le sofferenze di coloro che stanno in basso nella scala sociale. Questo era il suo socialismo. La sua formazione morale e politica era avvenuta in un'età in cui, nonostante le divisioni interne, l'ideale socialista era uno solo ed era ben chiaro alla mente dei seguaci e degli avversari: era l'ideale dell'emancipazione della classe lavoratrice attraverso il movimento operaio. Non uso a caso la parola «classe», ora dimenticata, perché la lotta politica veniva interpretata dal movimento operaio come una lotta di classe. Una parte del passato di cui era fiero era stata quel¬ la in cui aveva fatto l'operaio nell'esilio parigino. In un discorso ai giovani (1978), riepilogando le tappe principali della propria vita (i vecchi, è noto, e io stesso ne so qualche cosa, tornano volentieri sul proprio cammino) dice con un atto esemplare di sincerità: «Chi vi parla è un anziano che ha combattuto sempre, che è sempre stato vicino al movimento operaio. E' stato vicino al movimento operaio anche quando esso aveva torto, come nei 1919-20, perché si era attardato nelle sue infantili posizioni estremistiche: una delle cause dell'avvento del fascismo... Se non ho mai smarrito la giusta strada lo devo anche a questo: che nei giorni di tempesta soprattutto e nei giorni di sole, sono sempre stato al fianco del movimento operaio italiano». (...) La fierezza dell'animo richiede anche fermezza delle proprie convinzioni. Pertini sa che la strada è difficile, ma non bisogna mai arrestarsi. Dice: «Ho camminato a lungo, e non ho mai sostato». Ripete: «Chi cammina inciampa anche qualche volta. Ma l'essenziale ò riprendere il cammino». Parole come queste mi hanno fatto venire in mente Max Weber, là dove afferma che ha vera vocazione per la politica chi di fronte agli ostacoli che gli si frappongono osa dire: «Non importa, continuiamo». Siamo tutti ben consapevoli del momento difficile che il nostro Paese sta attraversando. Ma proprio per questo, mai come oggi abbiamo il dovere di dirci con coraggio gli uni agli altri: «Non importa, continuiamo». Norberto Bobbio ROMA. Nel quinto anniversario della morte, Sandro Pertini, Presidente della Repubblica nel difficile settennato 1978-1985, è stato commemorato ieri mattina nell'auletta dei gruppi di Montecitorio, alla presenza della vedova, Carla Voltolina, del Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, dei presidenti di Camera e Senato, Irene Pivetti e Carlo Scognamiglio, del presidente del Consiglio, Lam¬ berto Dini, del presidente uscente della Corte Costituzionale, Francesco Paolo Casavola, del sindaco di Roma Francesco Rutelli e di numerosi ministri e parlamentari. Due gli interventi, del filosofo e senatore a vita Norberto Bobbio e di Antonio Maccanico, che fu il segretario generale del Quirinale durante la presidenza di Pertini. Pubblichiamo un ampio stralcio dell'intervento di Bobbio. Sandro Pertini, Capo dello Stato fra il 1978 e il 1985. è stato ricordato ieri a Montecitorio da Norberto Bobbio. Alludendo a se stesso, il Presidente soleva dire che gli uomini di carattere hanno un cattivo carattere

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