ANTICOMUNISTI La rivincita dei «maledetti» di Barbara Spinelli

ANTICOMUNISTI Aron, Silone, Chiaromonte, Koestler: che cosa fa veramente il «Congresso per la libertà della cultura» ANTICOMUNISTI La rivincita dei «maledetti» LI anticomunismo non è solo / una critica astratta del comunismo: della sua visione teleologica della storia, del la sua ideologia. Non si incarna semplicemente in alcuni uomini eccezionali, che seppero denunciare la menzogna totalitaria, e sfidare i conformismi delle rispettive epoche nella più grande solitudine. L'anticomunismo ha un suo tragitto, una sua storia precisa. Fu una lunga battaglia di resistenza non bellicosa: la seconda, dopo la resistenza antifascista e la resistenza antinazista, e non fu diversa da queste ultime ma le proseguì, le completò. La questione dunque non è di riscoprire oggi le grandi figure o alcune idee liberali dell'anticomunismo. La questione è di vedere come da una resistenza sia nata l'altra, in molti uomini vigili dell'Occidente. Per non aver incorporato l'anticomunismo, buona parte dell'antifascismo nel dopoguerra fu una professione di fede emiplegica, oltreché pusillanime. Per l'incapacità di far propri gli insegnamenti libertari dell'antifascismo, l'anticomunismo stile McCarthy fu pernicioso, infecondo, e breve. Per questo è interessante leggere oggi la storia lunga dell'anticomunismo, e la maniera in cui seppe durare in Europa e America, e accumulare armi e usarle. A questo compito si è dedicato in Francia lo storico Pierre Grémion, in un libro che è un'eccellente documentazione e che si intitola: L'intelligenza dell'anticomunismo (Editore Fayard). L'anticomunismo non comincia naturalmente nel 1950, con il Congresso per la libertà della cultura a Berlino, ma molto prima, negli Anni Trenta: i libri di Boris Souvarine, di Victor Serge, di Panait Istrati, di André Gide, di Ignazio Silone, hanno già chiarito come stiano le cose nel Paese dei Soviet. Già allora, Gide aveva paragonato il totalitarismo sovietico a quello che stava formandosi, allora, in Germania. Un anno prima del Congresso del 1950 a Berlino, inoltre, si era svolto a Parigi un processo cruciale: il processo di Lettresfranqaises, una rivista comunista, contro Viktor Kravchenko, il funzionario sovietico che si era rifugiato negli Stati Uniti e aveva pubblicato un libro di grandissimo successo: Ho scelto la libertà (il libro ha un pubblico entusiasta anche in Italia, confermando che l'opinione del Paese è ben più matura dei suoi intellettuali). Ma è nel '50 che l'anticomunismo decide di far fruttare la propria intelligenza, e di creare un movimento e un'organizzazione dotati di strumenti di intervento, di azione, di fraternizzazione con il pensiero tenuto prigioniero dietro la cortina di ferro. Ignazio Silone, che è tra i fondatori del Congresso assieme a Koestler e a Sidney Hook, a Denis de Rougemont, a Josef Czapsky e a Melvin Lasky, riassume assai bene l'obiettivo ideale dell'operazione euroamericana: «Voi sapete che il movimento liberale dei tempi moderni è cominciato con la rivendicazione deìl'habeas corpus. Ma il ventesimo secolo ci ha gettati molto indietro nella nostra linea di difesa, e oggi la parola d'ordine della nuova resistenza dovrebbe essere habeas animam: il diritto di ogni creatura ad avere una propria anima». Il Congresso per la libertà della cultura fa proprio il principio delì'habeas animam, e deciderà di rivolgersi alle anime, direttamente. Di solidarizzare con esse e sostenerle quando cercano di liberarsi dalla cattività (nei Paesi comunisti ma anche in Spagna, in America Latina); di portare chiarezza nelle menti addormentate o obnubilate dell'Occidente libero. Gli appelli dunque, i libri bianchi e le riviste diventano le armi che l'anticomunismo intelligente adopererà per consolidare ed estendere lo spirito della resistenza. Le riviste soprattutto saranno insostituibili lampade, per molti decenni. L'attività di pubblicazione sarà coordinata da un. esponente essenziale del Congresso, residente in Svizzera: Francois Bondy, che diventerà direttore di Preuves (su Preuves Grémion ha scritto un libro-raccolta di grande interesse, qualche anno fa). In Italia nasce nel '55 la rivista Tempo Presente, e sarà diretta da Silone e Nicola Chiaromonte: rivista che custodirà una gelosa indi- pendenza dal Congresso, e che pubblica articoli di una lucidità che non ha pari nel Paese, la cui cultura è molto influenzata dai comunisti. I testi di Silone, Chiaromonte, Andrea Caffi, Leo Valiani, Aldo Garosci, Gustaw Herling non saranno commentati dagli intellettuali benpensanti e progressisti ma sono testimonianze preziose di una battaglia per l'habeas animam che esistette anche in Italia, nono¬ stante il Paese fosse, con la Francia, più ostico di altri a causa della forte presenza comunista. Nei Paesi anglosassoni nascerà la rivista Encounter, in Germania Melvin Lasky dirige Ber Monat. Il Congresso per la libertà della cultura non fu una iniziativa di destra e nemmeno un'iniziativa solo liberale. Lo scopo ricercato dai suoi fondatori, e in particolar modo dalle élites sindacali e politiche americane che lo concepirono, era di creare un edificio parallelo al Piano Marshall: un «Piano Marshall della verità», come si disse nelle prime riunioni del Congresso. Anch'esso doveva contribuire alla ricostruzione dell'Europa: alla ricostruzione del suo morale, e della sua morale. In particolare, si trattava di rinforzare il morale della sinistra non comunista - la più esposta all'opera di persuasione e di colpevolizzazione comunista - e non a caso gli interlocutori privilegiati furono fin da principio gli antifascisti di sinistra, le socialdemocrazie e i socialismi europei: prima fra tutte la socialdemocrazia tedesca (il primo congresso sarà organizzato da Ernst Reuter, sindaco socialdemocratico di Berlino) e poi il laborismo britannico, parte della Sfio francese e del socialismo democratico italiano (impersonato da Saragat e poi anche da Nenni). Il Congresso ha contribuito a creare una socialdemocrazia forte, e ad ancorarla al liberalismo: le revisioni di Bad Godesberg sono legate all'intelligenza dell'anticomunismo. L'interesso alla ricostruzione d'Europa è reso infine evidente dai legami che il Congresso instaura con i movimenti federalisti dell'antifascismo: Altiero Spinelli che li rappresenta sarà al primo congresso fondatore di Berlino. Questa realtà antifascista, di sinistra, europeista del Congresso per la libertà della cultura non sarà veramente inficiata, quando nel 1967 escono le prime notizie sui finanziamenti della Cia. La scossa sarà grave - come testimonia la collera di Aron, di Spender - ma Grémion spiega nei dettagli la storia dei rapporti iniziali tra Cia e Congresso della libertà. Negli Anni 40 la Cia (che allora si chiamava Oss, ufficio di studi strategici) aiuta i resistenti tramite l'azione cospirativa di Alien Duìles, a Berna. Negli Anni 50, l'Agenzia sa resistere al senatore McCarthy, profondamente detestato dalla Cia per l'isterismo del suo anticomunismo: isterismo che rischiava di screditare l'anticomunismo democratico, di assimilarlo al neofascismo americano. Conviene ricordare qual era lo stato della cultura europea fra il '50 e gli Anni 60-70. Niente sembrava scalfirne le certezze progressiste, neutraliste: né la rivolta operaia del '53 nella Germania comunista, né la rivoluzione di un popolo intero nel '56 in Ungheria, né le croniche sollevazioni polacche. A tutti questi fatti la cultura dominante reagiva con un'anestesia delle menti sistematica, con una volontà perennemente annoiata di non sapere, di non attingere al Piano Marshall della verità. E siccome simili anestesie non muoiono mai, e si ripetono ancor oggi sulla Bosnia o la Cccenia o sull'integralismo algerino, è utile ricordare il perché di cosi grandi rimozioni, su cui gli uomini del Congresso rifletterono ripetutamente. Perché persone intelligenti tacquero nel '53, nel '56, in parte anche nel '68 su Praga? Grande avversario di Sartre, Camus diede una spiegazione laconica e inesorabile del tradimento degli intellettuali occidentali, all'indomani dell'offensiva sanguinosa dei sovietici contro gli ungheresi: è un tradimento - dice Camus - «che si spiega assai bene con l'ammirazione maniaca della forza, e con la falsa filosofia della storia, che in realtà è solo culto nichilista del fatto compiuto». Un altro motivo per cui l'anticomunismo democratico diede frutti e durò, fu la capacità che mostrò di criticare anche il mondo libero, da cui veniva. Grémion racconta in pagine suggestive le conferenze e riunioni dedicate alla fine delle ideologie e dell'illuminismo progressista, alle imperfezioni del capitalismo, ai limiti della democrazia parlamentare, al peso dello Stato onnipotente e tuttavia impotente come in Italia: riunioni in cui si misurarono inenti eccelse come Raymond Aron, Michel Polanyi, Adriano Olivetti, Eric Voegelin. E' precisamente questo l'aspetto più interessante dell'anticomunismo liberal-socialdemocratico: questa capacità della democrazia di meditare su se stessa, nello stesso tempo in cui sceglie di resistere al comunismo. E' questo suo legame con la resistenza antifascista, voluto dai fondatori del Congresso che in gran parte vengono dall'estrema sinistra. Molti non parteciparono a questo movimento anticomunista per questo motivo: non solo perché erano progressisti o comunisti ma anche perché erano liberali stanchi, che avevano tutta la compiaciuta sicurezza del vincitore ideologico Anche questi ultimi, in fondo, avevano un'ammirazione maniaca della forza (della propria forza e di quella sovietica) e un culto nichilista del latto compiuto. Barbara Spinelli Un'immagine di gulag. Nella foto sotto Raymond Aron Qui sotto Ignazio Silone e in basso Ernst Reuter, che fu sindaco socialdemocratico di Berlino Un'immagine di gulag. Nella foto sotto Raymond Aron Qui sotto Ignazio Silone e in basso Ernst Reuter, che fu sindaco socialdemocratico di Berlino