«E' il tribunale dei ministri che deve giudicare Andreotti» di Francesco La Licata

Lo hanno richiesto i difensori: il giudice deciderà il 2 marzo Lo hanno richiesto i difensori: il giudice deciderà il 2 marzo «P il tribunale dei ministri che deve giudicare Andreotti» PALERMO DAL NOSTRO INVIATO La difesa di Giulio Andreotti punta al trasferimento del processo. Con una memoria, presentata ieri durante l'udienza preliminare aggiornata al 2 marzo, giorno in cui si conoscerà probabilmente la decisione del giudice Agostino Gristina, i legali dell'ex presidente del Consiglio - Franco Coppi e Odoardo Ascari affiancati da Gioacchino Sbacchi e Giuseppe Alessi - hanno sostenuto la legittimità della competenza del tribunale dei Ministri di Roma. Tutta l'udienza di ieri se n'è andata proprio su questo argomento, illustrato da 48 pagine dattiloscritte con le quali gli avvocati spiegano il loro punto di vista, opposto a quello dei pubblici ministeri - Scarpinato, Natoli e Lo Forte - convinti, invece, che Andreotti debba essere processato per i reati commessi nella sua «qualità» di capocorrente piuttosto che nelle funzioni di uomo di Stato. Secondo la difesa, ammessa e non concessa la «mafiosilà» di Andreotti, «il senatore non stava certo a cuore a Cosa Nostra per la sua capacità di risolvere problematiche locali, bensì per il suo potere di influenzare gli equilibri politici generali. Egli era, sempre secondo questi signori (i pentiti, ndr), l'uomo a cui si doveva ricorrere per risolvere le questioni che soltanto a Roma potevano trovare soluzione». E, per meglio illustrare il concetto, fanno l'esempio del «caso Sindona». «Il sen. Andreotti - scrive Franco Coppi - avrebbe abusato del suo ufficio per tentare di salvare dalla bancarotta il suo "correo" in mafia. Ma tutto ciò appare - in ipotesi - correlato all'esercizio delle funzioni ministeriali e nulla ha a che vedere con questioni di corrente». Insomma, la competenza spetterebbe a Roma. Soprattutto su questo dovrà pronunciarsi il gip. Ma non soltanto: la difesa, infatti, tende a demolire il castello accusatorio ridimensionando il «valore» delle dichiarazioni dei pentiti. Anche dell'ultimo, il politico-mafioso Gioacchino Pennino, che ha aperto uno squarcio sulla fitta rete di connivenze tra Cosa Nostra e il mondo dei partiti. Questi argomenti sono stati trattati in sede di memoria difensiva, nel corso dell'udienza, e successivamente affrontati dall'avv. Odoardo Ascari, col piglio deciso di ex comandante degli alpini, durante uno scambio di battute coi giornalisti. A chi gli chiedeva di Pennino, Ascari ha risposto ironicamente: «Mi sembra un Pennino spuntato, che scrive molto male». Una battuta che gli ha permesso di glissare, limitandosi a delegittimare il collaboratore, la richiesta di un commento sui rapporti tra la corrente andreottiana e Cosa Nostra. E al sarcasmo l'avvocato ricorre anche quando si parla del famoso vassoio, regalo di nozze alla figlia di Nino Salvo, o del quadro che la mafia avrebbe regalato ad Andreotti. Su quest'ultima vicenda, Ascari ironizza: «Si tratta forse di un quadro astratto, dal momento che nessuno lo ha visto». E' possibile tuttavia che «astratto» non resti per sempre, visto che gli investigatori, insieme con la misteriosa donna interrogata il 16 febbraio, stanno setacciando i negozi d'antiquariato di Roma sulla scorta di indizi nuovi che non manifestano per evitare di «scoprire le carte». Ma l'avvocato Ascari non sembra dare un buon giudizio di come l'accusa ha finora condotto la vicenda. Alla domanda se ritiene che il processo andrà in aula, non nasconde le sue perplessità: «Non lo so. Ma pensi che Dante ha punito gli indovini condannandoli a girare con la testa voltata all'indietro. F se mi volto indietro vedo delle cose orribili». L'ultimo capitolo della difesa riguarda il «dossier Di Maggio», reso pubblico dall'avv. Enzo Fragalà, deputato di An, e invocato dalla difesa come possibile «pezza d'appoggio» al sospetto che il pentito possa aver parlato del senatore perché «imbeccato». Il prof. Coppi, nella sua memoria, non entra nel merito delle accuse ventilate in quel dossier giunto a Fragalà in forma anonima. Ascari, invece, cede al gusto della provocazione: «Ci sono due tesi a confronto, vedremo». E i tentativi di depistaggio? «Ma quali? E di chi?», risponde ironico. Sarà, ma gli investigatori non la pensano così. Erano in tanti, ieri, a mettere in relazione la fuga di Giovanni Brusca, avvenuta giovedì a Milano, con un'altra fuga: appunto quella del «dossier Di Maggio» uscito anonimamente dagli uffici investigativi per approdare nella buca delle lettere dell'on. Fragalà. Francesco La Licata E gli 007 a Roma a caccia del quadro che accusa Giulio Giulio Andreotti ieri non si è presentato in aula

Luoghi citati: Milano, Palermo, Roma