Il Cavaliere: se non ci danno le elezioni « Lasceremo il Parlamento » di Augusto Minzolini

// Cavaliere: se non ci danno le elezioni « Lasceremo il Parlamento » // Cavaliere: se non ci danno le elezioni LA STRATEGIA DI BERLUSCONI IROMA N pubblico ha chiesto con forza le elezioni politiche addirittura a maggio, abbinate alle regionali. In privato, invece, Berlusconi pensa già alla prossima mossa, a quella cui sarebbe costretto se Scalfaro e Dini continueranno a negargli le urne. E' una decisione su cui ha riflettutto in tutti questi giorni e che è restio ad annunciare. Ma lì, al quarto piano di via dell'Anima, nel momento di relax che segue ogni sua apparizione in Tv, si lascia sfuggire qualcosa sulla sua ultima arma, quella definitiva. «Vedete - spiega - noi abbiamo ancora una speranza. Io so che questa Roma politica è quella che è, ma non rinuncio a credere che alla fine il buonsenso possa prevalere, che l'idea di andare al voto sia accettata da tutti. Se questo non succederà? Ho pensato anche a questaevenienza. Non dovrei dirlo io, ma penso che l'ipotesi più efficace sia quella di fuori da tutto. Via dalle Commissioni parlamentari, via dalle aule di Camera e Senato. Così la gente di fronte ad un Parlamento deserto capirebbe la gravità di quello che sta accadendo. Se questi andranno avanti e governeranno senza di noi? Se lo faranno davvero ci sarà la rivoluzione...». L'ultima «ratio» del Cavaliere è, quindi, l'abbandono del Parlamento, una sorta di Aventino del 1995 capitanato questa volta non da Giovanni Battista Amendola ma da Berlusconi se non, addirittura, le dimissioni in massa dei parlamentari del Polo. Lui'non precisa quale delle due strade sceglierà, l'unica cosa che gli interessa è quella di una protesta che rimarchi in maniera energica che queste Camere sono «delegittimate». Una sorta di «o la va, o la spacca», un'arma «senza ritorno». Non si tratta di uno scherzo. L'altra notte l'ex-premier, dopo una cena con Letta, Ferrara e Previti, ha convocato a via dell'Animai «fidatissimi» di Publitalia. C'erano Galan e Ghio, Martucello e Turtoli, Querci e Tajani. E anche lì, è venuta fuori l'idea di un'iniziativa clamorosa. «Ho saputo - ha spiegato Berlusconi in quell'occasione - che Scalfaro non ha ancora capito. Che a darci le elezioni non ci pensa proprio. Eppure anche lui sa che Prodi non può stare sospeso nell'aria per un anno. Le elezioni presto, convengono anche a lui». Poi, guardando negli occhi i presenti, ha aggiunto: «Se Scalfaro insisterà ancora vorrà dire che ce ne andremo da questo Parlamento». Insomma, l'idea del Cavaliere accoglie, in buona parte, la proposta di Pannella, che vorrebbe le dimissioni in massa dalle Camere, e supera le perplessità e lo scetticismo di Fini. Oltre a quest'«arma le- tale» rimane ancora in piedi l'ipotesi di affossare la «manovra economica» di Dini. Ieri Berlusconi, almeno nei toni, è stato più prudente di Previti che predica senza infingimenti il voto contrario alla manovra. Ma questo non significa che tra le tante «opzioni» non ci sia anche questa. Non per nulla ieri mattina alla Camera anche Martino, responsabile economico di Forza Italia, è tornato ad ipotizzare «un voto contro la manovra». Questa prospettiva, però, potrebbe an- che mancare l'obiettivo delle elezioni. «Se, infatti, - ha spiegato Martino - Dini varerà i provvedimenti attraverso dei decreti legge, la manovra potrebbe arrivare all'esame del Parlamento fra 60 giorni. A quel punto sarebbe difficile sciogliere le Camere in tempo per votare a giugno. Ci troveremmo di fronte ad un commissariamento del Paese che potrebbe andare avanti per un anno». Ecco perchè viene teorizzata l'ipotesi aventiniana e, contempora¬ neamente, gli emissari di Berlusconi tentano di riaprire un dialogo con Dini. La proposta del Cavaliere a Dini è sempre la stessa: «Potrebbe diventare un superministro dell'economia nel governo che noi presenteremo agli elettori». In questo modo, di fatto, Dini diventerebbe a tutti gli effetti il «numero due», il possibile delfino, il successore di Berlusconi se quest'ultimo decidesse di non andare a Palazzo Chigi in caso di vittoria del centrodestra. Quello che, comunque, si capisce da tutti i piani di guerra, tattiche e discorsi che si fanno nelle camere segrete dove viene decisa la strategia berlusconiana, è che il Cavaliere non ha subordinate all'ipotesi di votare subito. Ci riuscirà? Probabilmente lungo la strada ha trovato un alleato inaspettalo proprio quel Romano Prodi che è il suo concorrente nella sua corsa elettorale. Anche il «professore», infatti, vuole le elezioni presto, non lo dice ma è così. Basta parlare con gli uomini del neo-gruppo parlamentare «democratico», quello più prossimo al candidato del centro-sinistra. «Sì è così - ammette Enrico Boschi - anche se Romano non lo ammetterà mai». Mentre Giorgio Bogi, altro esponente del gruppo democratico, addirittura azzarda una teoria su quali sarebbero le vittime della decisione di votare fra un anno. «Se si voterà nel '96 - spiega l'ex-segrctario repubblicano - la prima vittima òBcrlusconi. La seconda, invece, è Prodi. Chi ha questo disegno in te- Marco Pannella A destra: l'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sta è chi vorrebbe spazzare via quest'embrione di bipolarismo, rilanciare il centro e il ruolo dei partiti, magari introducendo prima delle elezioni un sistema elettorale a doppio turno. Un nome? D'Alema». Già, il segretario del pds, a parte Scalfaro, è l'unico che di fatto non accetta l'idea del voto presto. Un'ipotesi che trova udienza anche nel pds, dove l'ex-segertario Achille Occhetto la dice pubblicamente, mentre Walter Veltroni la confida sull'aereo a Michelini: «Anche se non lo diciamo - ha confessato qualche giorno fa il direttore dell'Unito - a noi va bene votare a giugno». Ecco perchè proprio contro D'Alema ieri si sono concentrati gli strali del Cavaliere. Berlusconi è arrivato a pronosticare un futuro roseo a Rifondazione (visto che Bertinotti vuole le elezioni) e a citare Occhetto contro D'Alema. «Ha ragione Occhetto - ha spiegato in conferenza stampa l'ex-premier -. Non è stato lui a dire che D'Alema, quando vuole cambiare nome al pds, fa il gioco delle tre carte? Bene, lo ha detto lui, non io...». Augusto Minzolini

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