L'inizio dell'uragano

Testimonianze sulla vita quotidiana a Torino - tra bombe. Testimonianze sulla vita quotidiana a Torino - tra bombe. L'inizio dell'uragano 11 giugno 1940: le prime bombe riamo tutti come topi, è meglio andare sui prati all'aperto». «Stiamo calmi, dopotutto l'allarme non è ancora suonato. Ma dov'è il nostro capofabbricato?». Il capofabbricato, finalmente, arrivò annunciando: «Mi sono informato! stanno facendo delle prove! Possiamo tornare a letto». Un minuto dopo arrivò l'urlo delle sirene. «Cavaliere!», urlai a mia volta correndo sul pianerottolo: «L'allarme sta suonando adesso!». Nella sala si fece silenzio. Quando le sirene lanciarono il secondo segnale, vi fu nuovamente un grande trambusto. «E' una incursione nemica! Tutti in rifugio» - tuonò il cavalier Ferrerò, veterano della prima guerra d'Africa che conservava, intatta, l'energica attitudine al comando da sottufficiale di fanteria. La discesa per le scale fu rapidissima. Mio padre ed altri coinquilini, come rifugio, scelsero i prati. Uscimmo sulla piazza illuminata a giorno. Le raffiche dei traccianti continuavano a salire verso il cielo mentre il ronzio degli aeroplani si era fatto più vicino e distinto. Ci dirigemmo verso i prati, io e la mamma, spaventatissima, precedevamo il gruppo che seguiva in ordine sparso ed in silenzio. Giunti in mezzo al corso, all'improvviso, proprio di fronte a noi a poche centinaia di metri quasi sull'attuale corso Giambone, due grandi vampate rosso arancione e due terribili scoppi strapparono l'aria annunciandoci che la guerra totale era incominciata. Ci gettammo istintivamente a terra. Sentii le donne urlare e le mie orecchie incominciarono a fischiare furiosamente. Si rimase immobili fino a quando qualcuno consigliò di alzarci e di raggiungere di corsa il prato antistante. Ubbidimmo ed andammo a sdraiarci alla base di un piccolo terrapieno erboso ed umido di pioggia situato dove, attualmente, inizia la via Asuncion. Dal nostro rifugio a cielo aperto vedemmo esaurirsi e spegnersi i bengala; si spensero anche le luci azzurrate dei lampioni e, sulla città, vi fu buio completo. Poche batterie antiaeree, dalla collina, cominciarono a sparare dirigendo i loro tiri sulla direttrice della Val di Susa. Alla vampata degli scoppi, simile ad un lampo, seguiva un forte e sordo boato. Le mitragliere continuavano a gracchiare disperatamente lanciando raffiche di traccianti assolutamente innocue per gli aerei che giravano molto alti allontanandosi e riavvicinandosi. Ad un tratto un sibilo lungo e inconfondibile. Ancora istintivamente ci schiacciammo contro l'umido terrapieno. In un istante rividi le scene dei film di guerra visti recentemente, pensai alle avventure di trincea, sentii mio padre sussurrarmi... «Riparati!» mentre la sua mano si appoggiava sul mio capo a protezione... Lo schianto fu LE prime gocce dell'uragano», ovvero i bombardamenti dell'11 e 12 giugno 1940, raccontate da Walter Giuliano Genta, che allora aveva 13 anni. Abitavamo in piazza Balilla (l'attuale piazza Galimberti) che allora era all'estrema periferia di Torino. Oltre la piazza, di recentissima costruzione, ornata in tutto il suo perimetro da grandi archi in cemento armato, c'erano i prati. Dai miei due balconi, al quarto piano del numero 6, verso Levante si vedeva la Mole Antonelliana su un mare di tetti, la linea ferroviaria, la Fiat Lingotto, a Ponente poche case e qualche cascinale disseminati in una grande prateria che si estendeva sino all'aeroporto di.Mirafiori. Quella sera l'oscuramento della città era totale. La grande prateria era completamente buia e, nella piazza, che poche settimane prima era la più illuminata di Torino, rari lampioni proiettavano tenui fasci di luce azzurra. Ad un tratto sentii il ronzìo di un aereo lontano. Nei pressi dell'aeroporto si accesero due riflettori ed iniziarono ad esplorare il cielo. I due fasci di luce si muovevano lentamente infrangendosi, ogni tanto, su nubi altissime. Poco dopo il rumore dell'aereo svanì ed i riflettori si spensero. «Sono esercitazioni», disse mio padre. Stavamo vivendo le ultime due ore di pace. A mezzanotte sarebbe iniziata, per l'Italia, la seconda guerra mondiale. Dopo cena sentii volare nuovamente l'aereo solitario. I due riflettori dell'aeroporto fendevano nuvole molto basse perché stava arrivando un temporale. Quando l'aereo si allontanò si spensero per riaccendersi dopo il passaggio del temporale brevissimo e furioso. Prima di andare a letto mi affacciai ancora alla finestra. Erano riapparse le stelle e Torino riposava in un'atmosfera ovattata e buia. Poche persone chiacchieravano nella piazza sottostante. Il tram numero otto stava arrivando al capolinea. ((Alzati subito e vestiti... ci sono aerei e bengala su Torino... non sono tranquillo...». La voce di mio padre aveva un timbro insolito. Doveva essere molto emozionato. Mi precipitai nella camera dei genitori e, dalla fi-, nestra spalancata, vidi la città e la collina illuminate a giorno. Raffiche di traccianti si dirigevano verso il cielo, motori di aeroplani ronzavano altissimi e lontani. «Questa non mi sembra una esercitazione!», soggiunse ancora il genitore e scese al secondo piano dal capofabbricato suonando tutti i campanelli. In pochi minuti tutto il caseggiato era in piedi. Sui pianerottoli si commentava animatamente. «Che sia un'incursione aerea? Mi sembra strano, la guerra è incominciata appena oggi!». «Se è un'incursione si dovrebbe andare in rifugio...». «Macché rifugio... se la casa crolla mo- Qui sopra incendio sul tetto di Palazzo Madairia. A destra la Consolata dopo un bombardamento lungo e rovinoso. Cinque bombe erano cadute sui Mercati Genrah dall'altra parte della piazza. Non vi furono vittime vicino a noi, ma quasi contemporaneamente, in via Priocca, a Porta Palazzo, . un secondo grappolo di bombe uccideva quattordici persone. I primi caduti civili italiani della seconda guerra mondiale. Improvvisamente, sul tetto della Fiat, vicino alla corta ciminiera, si accese una gran luce. Quasi come un prolungato cortocircuito. Tutta la zona ne fu iUuminata. In quell'inatteso chiarore vidi i volti impauriti delle donne che pregavano e l'espressione tesa degli uomini. «Cosa fanno alla Fiat? - urlò qualcuno in piemontese - vogliono farci tirare addosso?». Finalmente la grande luce bianca si spense e tornò il buio rimbombante con i lampi della contraerea ed il ronzare dei motori. La paura stava prendendo tutti. Molti anni dopo, una cronistoria sui bombardamenti in Italia confermò che quelle bombe, portate da aerei provenienti dall'Inghilterra, furono le prime a cadere sul suolo italiano. Non fu precisato, però, che il primo ordigno esplose in un'ala, per fortuna deserta, dell'Ospizio dei «Poveri Vecchi» sul corso Stupinigi, oggi corso Unione Sovietica.

Persone citate: Walter Giuliano

Luoghi citati: Africa, Inghilterra, Italia, Torino